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"Carnival" il nuovo album di Silek. L'intervista


CARNIVAL è il nuovo progetto di SILEK, ma soprattutto di Simone, rapper made in Padova, di lungo corso, sia di gruppo sia solista. Un album di otto brani, dalle tinte oscure e dai testi intimi con una radice hip hop ma contaminate da altre incursioni sonore, come da molto nei progetti di SILEK, spaziando dall'elettronica al reggae, passando per il boom bap.

Noi di Cherry Press lo abbiamo intervistato per saperne di più sul nuovo lavoro discografico.

Ciao e benvenuto sulle pagine di Cherry Press! Il tuo percorso musicale inizia con il violino, e riprende poi nel 1996 con DOZHENS. Raccontaci come si è evoluto nel tempo.
Ciao a voi e grazie per l’ospitalità.
Il violino me lo hanno messo in braccio da molto piccolo e quanto la musica avesse un impatto emotivamente forte è stato subito chiaro, però poi per varie vicissitudini ho dovuto interrompere.
Da più grande dopo varie tante altre “distrazioni” sentivo che il mio rapporto con la musica era incompiuto e nel frattempo avevo sviluppato questo amore profondo per il rap e la cultura hip hop, quindi ho cominciato a scrivere le prime rime da solo nella mia camera senza conoscere nessuno e senza sapere davvero come e cosa fare, ma dovevo farlo.
La fortuna, il fato o quello che è mi ha fatto conoscere la SPC Crew, un collettivo di breakers, dj’s, mc’s e writers in cui sono entrato e da lì a poco è nato DOZHENS, che alla storia rimane come il primo gruppo rap nato a Padova.
Le feste più o meno legali in giro per la città, i primi live di piazza, le jam e man mano fino ai live importanti dentro la scena Hip Hop della fine dei ‘90.
Dopo 3 album, molta sperimentazione elettronica e vari incroci con altri generi e concerti in giro per l’Italia nel 2006 la formazione si è sciolta, lasciandomi però un'eredità importantissima.

Dopo dieci anni di live con il gruppo in giro per l'Italia, perchè hai deciso di intraprendere la carriera da solista?
L’esperienza Dozhens era finita, ci avevano troppe volte preannunciato un “successo” mai arrivato davvero e quando sei molto giovane alle troppe aspettative ci rimani sotto e così è stato per noi.
Io nello stesso periodo parallelamente avevo prodotto il primo album solista (“Sorrisi e finzioni”) e dopo qualche live, mi sono preso una pausa di un paio di anni almeno (forse 3) non sapendo bene cosa fare dovendo anche capire di cosa vivere visto che la musica sicuramente non mi dava uno stipendio.
Timidamente poi ho ricominciato, un po’ arrugginito, un po’ per gioco, poi però come al solito ho perso quella forma di equilibrio che ti fa fare le cose con calma e così a oggi ho prodotto altri nove progetti tra solisti e in combo con altra gente. Tanti altri live da solo, palchi importanti e non, riuscendo anche e esibirmi per due volte negli States e a pubblicare delle cose con una Label di NYC.
Diciamo che l’idea era fermarsi, ma palesemente non ci sono riuscito.

SILEK: come è nata l’idea di questo nome?
Cercavo un nome personale, che non fosse uno di quei nomi rap anni '90 tipo Rombo, Devasto etc.
Era la mia seconda vita e volevo fosse, diversa da prima, quindi ho preso il mio cognome e l’ho girato con una modifica usando la K al posto della C, mettendoci davanti la S di Simone, il mio nome.
Anni dopo ho scoperto che SILEK in qualche paese orientale significa “Combattimento” e direi che mai più nome fu più giusto visto il mio rapporto con la vita.

Quali artisti hanno influenzato il tuo stile?
Tantissimi, farne una lista sarebbe infinito. Ho ascoltato tantissima musica diversa da sempre, anche se con il rap ci sono cresciuto.
Ne dico qualcuno di pancia. RHCP, Nirvana, Lou X, SXM, El-P, DJ Shadow, Public Enemy Fugees, Cinematic Orchestra, Wu tang Clan.
Non so se hanno influenzato il mio stile, ma sicuramente la visione creativa di quello che cerco di fare sì.

“Carnival” è il tuo nuovo album. Quale messaggio vuoi trasmettere con questo lavoro?
Carnival parla della persona, di quello che resta quando togli ogni maschera, di quella fragilità da accettare che in realtà è il primo passaggio per diventare più solidi, è quello che possiamo chiamare album "intimo".
Non avevo messaggi particolari da comunicare, parla di me, di un periodo di cambiamento, di un passaggio veloce, tanto che è stato scritto, prodotto e registrato in 3 mesi precisi da 0.
Mi sono preso cura di me stesso, ma magari si prende cura anche di chi ascolta. Carnival è la pancia, la parte emotiva, il bisogno, mi sono trovato questo album in mano senza neanche essermi reso conto di nulla.
I messaggi magari ci sono, ma non erano lo scopo di questo progetto.

Il rap di “Carnival” è multi-incastro, stratificato nei concetti, talvolta molto ermetico, altre volte esplicito e inequivocabile. Vuoi spiegarci meglio.
Scrivo in maniera complessa, ci sono concetti dentro concetti, parentesi nelle parentesi, citazioni, so di non essere affatto facile e al primo ascolto disorienta perché non si capisce bene dove voglio andare a parare, spesso sono immagini, odori sensazioni, magari solo mie, delle volte figlie di un flusso di coscienza di cui prendo consapevolezza alla fine del processo. Questo approccio lo mischio con dei passaggi “crudi” un po’ perché anche quando parlo mi viene da condire discorsi anche impegnativi con un linguaggio "colorito" e un po’ perché ho capito che aiuta la comprensione. Inserisco delle tessere più facili all’interno di un mosaico complesso.
Rispetto al modo di fare il rap, incastro tante parole, tante rime, tanti passaggi multipli, quella è la mia parte da nerd del rap che mi tengo stretta.
Posso serenamente dire che, ahimè, non sono capace di fare cose semplici, ma va bene così.

Cosa puoi dirmi a proposito dell’artwork e del suo significato?
L’artwork è stato disegnato e realizzato da Claudia Breda aka Maniastatement e diretto da me che per lavoro mi occupo di comunicazione.
Carnival è la persona dietro la maschera come dicevo sopra, nella cover quindi c’è questo clown triste, con il trucco ormai sciolto, dopo tante feste e sorrisi forzati, ma in qualche modo continua a sorridere lo stesso anche se in maniera malinconica.
Credo possa essere la faccia di molti, è uno specchio.
Magari nel prossimo ci sarà la mia faccia.


Parlando di concerti. Che atmosfera si respira durante i tuoi live?
Non saprei, credo arrivi quella tensione emotiva che ho nello scrivere, ma decisamente amplificata,
perché il live fa crescere notevolmente il modo in cui rimo a livello di energia.
Devo dire che gli ultimi live sono andati molto bene, le cose che faccio oggi sento che arrivano dove volevo, ma non ho problemi ad ammettere che delle volte è spiazzante per i discorsi di cui sopra rispetto ai testi.

Quali saranno i tuoi prossimi impegni?
Mi sarebbe piaciuto portare Carnival live, era il suo intento primario, allargare e ampliare lo show.
Palesemente ora non si può per via del Covid, quindi i miei impegni dopo due album pubblicati nel giro di pochi mesi uno dall’altro e senza live da poter fare, è unicamente riposarmi e fare smart-working dalla Sicilia, una delle due terre delle mie radici familiari assieme alla Sardegna, e rimandare ogni cosa a settembre.

Per concludere, quale messaggio vuoi lanciare ai lettori di Cherry Press?
Purtroppo siamo spettatori dell'ennesima tragedia derivante dalla discriminazione razziale che ancora una volta maltratta e abusa di un popolo, ovviamente mi riferisco alla morte di George Floyd.
Banale lo so, ma NO RACISM, no discriminazione, no violenza, verso nessuno, basta davvero.

Intervista a cura di Barbara Scardilli