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Smania Uagliuns: viaggiando dentro “Travel Experiment (season one)”

Progetto nuovo, nuovo viaggio, nuova città e chissà che siano anche nuovi suoni. Si intitola “Travel Experiment (season one)” (link per l’ascolto http://www.smarturl.it/TravelExperimentEP) il nuovo progetto per ora in una dimensione di Ep digitale firmato dai lucani Smania Uagliuns. Freschissimo di pubblicazione per la label Isolation is bliss, parliamo di brani che racchiudono un melting pot sociale e di suono, scritti e pensati (ma soprattutto ispirati e contaminati) dentro le ossa delle città visitate in questi viaggi. E non potevano dunque mancare i video a corredo che, manco a dirlo, raccontato quel viaggio, quella destinazione. “Travel Experiment (season one)” che si dipana dentro la fusion in senso alto e letterale del termine, dal rock alla dance digitale, altro non è che una narrazione sociale, di altre latitudini ma soprattutto di altri modi di stare al mondo. Da Marsiglia nel 2016 a Bucarest l’anno successivo e poi il Kenya nel 2018. Oggi Berlino nel singolo “Gute nacht Berlin”, nato in un anno surreale dove abbiamo conosciuto e ancora stiamo misurando nuove abitudini e nuove normalità. Al forno anche il loro terzo disco che chissà quali cambi di rotta ci saranno… almeno questo promettono…


Questo moniker: Smania Uagliuns. Che origine ha?
Era partito tutto con Uagliun Ca Smania ai tempi del primo demo, poi ci siamo contratti ed evoluti in Smania Uagliuns. Ragazzi dotati di smania, di fuoco interiore, che non ti dà tregua, maledizione/benedizione di chi si sente bene solo quando crea e produce, di chi non sta stare fermo. Uagliuni è “ragazzi nel nostro dialetto”. Il resto va da sé. 

La dance, il rap, sfumature rock e prog, il pop… tanto altro se contiamo anche le influenze incontrate nel viaggio. Ma se dovessimo dare una definizione che orienti l’ascolto?
Ci spiace quasi essere dei comandanti di navicella così depistanti. Sicuramente dopo essere entrati un po’ nel nostro viaggio, si intercetta una traiettoria, un comune denominatore, uno stile che identifica nonostante il frullato di generi. Noi ci divertiamo a chiamarlo “rural funk”, “hip hop sbagliato”. Per me è musica psichedelica e schizofrenica con tanti strati, sottotesti, sfumature, ma un manifesto in fondo molto chiaro, l’identità.  

Elettronica: quanto è stata protagonista nella produzione? Quanto del suono che proponete arriva dal un lavoro rapito al caso anche grazie alla tecnologia digitale?
L’elettronica da sempre fa parte di nostri ascolti e della nostra formazione, da sempre a braccetto con l'hip hop per noi. Nelle nostre produzioni c'è molto di elettronico, ma più nel senso analogico, molti synth veri (siamo dei quasi collezionisti), molti effetti, voci lavorate, ma principalmente in maniera analogica. Pochi vst, plug-in ecc. non molto di estremamente digitale. Anche tutti gli effetti che creiamo, la programmazione dei beat è fatta “a mano” da veri amanuensi del sequencer. Ci divertiamo a giocare anche un po’ con quello, ma di più con le tastiere, i campionatori, gli strumenti che poi rifiutiamo anche grazie al digitale e alla tecnologia, certo. 
Ci sono poi sicuramente campioni, rubati nei luoghi che abbiamo visitato e che hanno donato carattere ai brani dell’EP. Anche voci prese sull'aereo, nei bar, al telegiornale e similari. Come tecnologia pura, rispetto a nostri colleghi o ai giovanissimi, magari non siamo neanche i re, ossia ci affascina, ma non ne siamo eccessivamente schiavi. 

E invece quanti suoni sono stati catturati sul luogo di destinazione? E come ci avete lavorato?
Come accennavamo sopra, abbiamo inserito in ogni brano sia suoni rubati per strada, nei locali, in aereo, taxi ecc. nella lingua del paese dove andavamo, sia da tg, radio locali, presi anche dalla tv via cavo dell'albergo o Airbnb. Soprattutto è stato divertente e stimolante andare a fare digging nei piccoli negozietti di vinili del posto, scoprendo perle nascoste e bislacche di musica di ogni genere: rumena, francese, africana (vedi i cori Masai di Kenya Safari) o spezzoni rubati in rete di un signore tedesco che parla del covid e dell’Italia. Il tutto poi super tagliato, effettuato, ricampionato. La bellezza dell’hip hop è anche questa.

E la curiosità mi arriva da tanti altri progetti che come questo cercavano il suono del mondo visitato. A voi non è venuto in mente di scrivere un brano da far suonare invece dagli artisti locali con la loro produzione e i loro suoni?
Sì, ci abbiamo pensato e stiamo capendo come farlo accadere. Magari per i prossimi episodi ci piacerebbe coinvolgere artisti locali, anche di generi totalmente diversi dal nostro, per creare un melange ulteriormente pazzo. Sarebbe fico, si, anche registrare il tutto in loco. Abbiamo già delle idee in mente. Ci hai preso in pieno. 

Parliamo di una prima stagione. Un primo atto dell’esperimento. La seconda stagione invece?
Non spoileriamo, anche perché abbiamo tempi biblici spesso e un disco da terminare, ma possiamo affermare che delle bozze di altri luoghi, musiche e destinazioni, esistono in nuce. Speriamo di continuare questa saga, ci stimola molto.