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Balto: un esordio di grandissima nostalgia


Si gioca una carta davvero gustosa questo esordio firmato dai Balto, formazione che dai portici di Bologna agli ultimi anni da universitari, si traghetta all’emancipazione, alla rinascita personale, alla “nuova vita”. Si diventa grandi tra nostalgie e ricordi, tra sfide e delusioni di una vita vissuta dentro questo pop di matrice indie che davvero ha lunghe e fortissime connessioni con quella scena indie spudoratamente ancora agli anni ’80 e che piano piano sta perdendo il mordente, come fossimo ormai diretti a rievocare solo il ruvido contorno del pop fatto rock della decade successiva. I Balto sfornano un lavoro che dalla pandemia trova soltanto ora la sua giusta luce. Un disco bello, morbido, italiano. Un disco di belle sensazioni di romanticismo assai credibile.

Esordio decisamente intenso di vita. La narrazione del vostro tempo, della vostra piccola e grande emancipazione. Parliamo anche di rinascita in qualche modo?
Beh, sì. Prima della pandemia abbiamo vissuto insieme per tantissimo tempo, abbiamo voluto a tutti i costi e atteso il momento della nostra prima uscita discografica. Se la sera uscivamo e facevamo tardi finivamo sempre per parlare di come sarebbe stato una volta che queste canzoni sarebbero davvero uscite. È un disco a cui abbiamo voluto e vogliamo molto bene.

Aspettative? Un disco simile che aspettative coccolava e quali ha soddisfatto?
Quello che ci passava per la testa era portare queste canzoni dalle persone, voler suonare dal vivo e vivere a stretto contatto con chi ha fame di socialità, che è ciò di cui noi in primis abbiamo bisogno. Il nostro sogno era ed è quello di suonare in faccia alla gente, sui palchi o per terra, con i cavi che s’intrecciano, i gin tonic in equilibrio sopra ai sintetizzatori, l’aria degli amplificatori sotto le gambe. Abbiamo sempre ascoltato molta musica e sempre ammirato chi poteva portare le proprie canzoni fra la gente, a stretto contatto col pubblico e gli amici. Le nostre aspettative sono queste.

E restando sul tema, le grandi delusioni? Domanda scomoda immagino…
Beh, il fatto di non essere potuti uscire quando realmente volevamo, alle condizioni che volevamo, a causa della pandemia ci ha più volte buttato giù di morale. Crediamo che questo disco possa trovare la propria casa nei piccoli locali, nei club, davanti alla e fra la gente, e l’impossibilità di girare davvero come vorremmo in qualche modo ha portato a dover buttare giù un bicchiere di amara verità. Ma c’è tempo, la musica può vivere molto più a lungo di quello che siamo abituati a pensare.
Un titolo “Forse è giusto così” che in qualche modo sottintende rassegnazione, un “mollare la presa”… che sia questa la formula per la pace?
Il titolo è in parte provocatorio; non intendiamo di doverci rassegnare ma quanto ambire ad un’accettazione consapevole che le cose non vanno sempre come le abbiamo desiderate e progettate; crescere è anche comprendere i propri limiti, imparare dalla sconfitta, senza doversi colpevolizzare per forza. 

Siete in un tempo di continua evoluzione. Il disco ha attraversato anni di gestazione per via del covid, vero? Qualcosa di quello che racconta, è totalmente cambiato?
Purtroppo, no. In questo disco parliamo delle nostre incertezze, delle nostre paure e timori verso il nostro futuro; la pandemia purtroppo ha accentuato queste preoccupazioni, ma allo stesso tempo la risposta che questo disco vorrebbe dare vale, almeno per noi, in maniera ancora più determinante e impattante sulle nostre scelte e percorsi di vita.