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Edoardo Cerea: il quarto disco è “La lunga strada”

 

Recita così la didascalia: un viaggio verso la consapevolezza dei propri sogni, dei traguardi raggiunti e delle persone incontrate lungo il cammino. E se si pensa a quanto sono apparentemente distanti brani come la title track “La lunga strada” e poi “Incallito sognatore”, abbiamo una fotografia di quanto la vita stessa sembra giocare con i propri colori. Edoardo Cerea torna con un disco nuovo che noi avviciniamo con pudore e rispetto. Sono di quelle opere mature, ferme, concrete, canzoni pulite che somigliano alla sincerità.

È passato del tempo dalla tua pubblicazione. Col senno di poi che cosa avete raccolto?
Diciamo che stavolta avevo ben a fuoco dentro di me le tematiche di cui volevo parlare e conseguentemente la direzione sonora da intraprendere. Oggi , cerco un taglio e un linguaggio il più possibile diretto e “universale” e mi sono accorto che tutto questo è arrivato alla gente, soprattutto nei live. Obbiettivo raggiunto quindi.

 

Pensi che il tempo che stiamo vivendo sia poco accogliente per dischi che parlano la tua lingua?
Sicuramente! Oggi però credo di aver fatto pace con la smania di cercare per forza di essere attuale, d'altronde non lo ero nemmeno da ragazzino (a 15 anni, in pieni anni Ottanta, la mia band preferita erano i Led Zeppelin). Non credo ci si possa esprimere in maniera distante  da ciò che ci appartiene e ci viene meglio, quando lo capisci e lo interiorizzi definitivamente, allora trovi una serenità artistica e compositiva impagabile.

L’elettronica? Che rapporto hai e come pensi possa essere una risorsa o una minaccia?
Mah, io non sono contro niente e nessuno, faccio semplicemente quel che sento e mi riesce meglio. De Andrè sosteneva non esistessero arti vecchie, nuove, maggiori o inferiori, semmai artisti maggiori o minori. In ambito artistico a mio avviso non esistono minacce come non dovrebbero esistere gare. Ci sono gli stimoli , e l’elettronica semplicemente non fa parte del mio backgound, comunque : “mai dire mai”.

 
Il disco ha anche timidi risvolti tex-mex. Insomma c’è la terra tra le canzoni e non il ferro industriale… vero?
Le sonorità che avverti, prevalentemente dipendono dal contributo che ha dato il cantautore ferrarese Enrico Cipollini, che ha prodotto insieme a me l’intero album. Se provate ad ascoltare i suoi album noterete una forte impronta folk/blues. La nostra è stata una collaborazione davvero magica, l’intesa è stata una meraviglia, grazie anche al background di riferimenti che avevamo in comune.

La strada è lunga sicuramente… nostalgie? Un disco di ritorni a casa?
Spesso dico che in questo album sono contenute una serie di riflessioni “momentaneamente definitive”.  Attraverso questo ossimoro voglio innanzitutto lasciare una porta aperta a future produzioni, ma anche cristallizzare sentimenti, emozioni e considerazioni che mi hanno accompagnato per tutta la vita. Un po’ come se volessi dirvi: “ Ecco, per tutto ciò che mi riguarda e che per me è importante, per ora questo è quanto”. A 53 anni, quindi più o meno in quello che potrebbe essere il “mezzo del cammin di nostra vita” dei nostri tempi, ho avvertito l’esigenza di creare uno spartiacque che mi aiutasse ad archiviare, metabolizzare, e conservare una serie di cose dalle quali, poi, ripartire anche cercando nuovi stimoli.