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Ubba Bond: un duo tra teatro, musica e contaminazione


Ascoltiamo “Mangiasabbia” ed è un perdersi continuo tra riferimenti tutti miei personali, da Rino Gaetano alle Luci Della Centrale Elettrica, dal pop a quel certo modo di concepire la rivoluzione punk, dentro, nelle ossa più che sulla facciata delle cose. Il tutto riesce a coesistere senza una soluzione di continuità, cosa che parrebbe solo ovvietà amatoriale. Loro sono prima di tutto due musicisti che si trovano e si riconoscono… e poi si “modulano” all’occorrenza per completarsi e per “contraddirsi”, per arricchirsi e per sviluppare quel tanto che impreziosisce già di suo l’ispirazione che si portano dietro. Guglielmo Ubaldi e Andrea Bondi, una coppia d’arte attiva da quasi 10 anni, approdano oggi ad un disco come “Mangiasabbia” che fa del teatro dell’irrealtà e della follia romantica un vero filo conduttore. Ma dentro c’è anche la tanto amata scena indie, la riflessione, il peso greve delle parole misurate a dovere… si può sorridere di gusto come nel video di “Filo interrotto” ma non si può evitare una personale riflessione di vita quando gira “Sale”. Un disco davvero interessante dentro le pieghe sempre più omologate di questa nuova canzone italiana.

Ubba Bond. Un duo che lascia ampi spazi alla contaminazione e alla collaborazione. Musicalmente da cosa nascete? Quali sono le radici?
Ubba Bond: Radici contaminate: la radice per definizione beve sempre da punti diversi del terreno. Musicalmente abbiamo alcune passioni comuni (Jeff Buckley, Tom Waits, Bob Dylan, De André), ma anche divergenti (ad esempio il prog dei King Crimson e dei Genesis per il Bond oppure i Morphine e i Pavement per Ubba) che ci suggeriscono digressioni. Le stesse divagazioni che cerchiamo ogni volta che collaboriamo con un altro artista. Siamo costantemente alla ricerca di quella parola o di quel suono in grado di sorprenderci. A quel punto iniziamo a scavare, come cani da tartufo col raffreddore.

C’è del teatro dietro questo modo di fare canzone. Sbaglio? E qui, nel caso, di quali radici parliamo?
Ubba: È corretto: entrambi abbiamo, in modo diverso, una storia legata al teatro. Lavorando nel settore teatrale, il Bond nel corso degli anni ha visto ed assimilato migliaia di spettacoli e quindi porta con sé un bagaglio di esperienze che sono risultate determinanti per l’equilibrio produttivo del disco. Il mio percorso invece è diverso: meno legato all’esperienza e forse più intimo. Inizia una sera di vent’anni fa con la visione di Man On The Moon (biopic sulla vita di Andy Kaufman): quel film mi ha salvato la vita, se non avessi “incontrato” Andy Kaufman ora non saprei come rispondere alle tue domande. Mi ricordo ancora il cinema che si svuotava sui titoli di coda e io che rimango lì con quel misto di tristezza e gioia che ti assale quando ti rendi conto di non essere più solo. L’opera di Kaufman mi ha insegnato che il mondo è un’illusione e che ci prendiamo tutti troppo sul serio. Questa filosofia di vita mi ha portato poi a vivere in un certo modo, a scrivere canzoni e poi anche a fare spettacoli di Stand Up Comedy il cui approccio da oneliner surreale ho conservato poi nella stesura dei testi di “Mangiasabbia”.
L’unione dei nostri due percorsi, unita alla competenza strumentale del Bond (che da polistrumentista ha costruito chitarre, basso e batterie), ci ha portato quindi a suonare per immagini e arrangiare per contrasti, in un gioco di attese e disattese che richiama la magia del teatro.

Il disco si apre con una visione lisergica grazie allo strumentale “Solo per matti”. Per voi cosa significa essere matti? La follia è una chiave di accesso alla verità?
Bond: “Solo per matti” è anche un omaggio al libro “Il Lupo della Steppa” di Hermann Hesse: la dicitura all’ingresso del teatro magico nel libro recitava “solo per pazzi”. Poi il nostro amico Mattia “Matti” Garoia suona nel pezzo...ecco quindi “Solo per Matti”. Mettendo a fuoco la risposta alla domanda...la follia non è una chiave di accesso alla verità: la follia è la fede incrollabile, l’abbandono necessario per credere che esista una verità o, viceversa, la certezza assoluta che non ne esista una (che è anch’essa una forma di verità). Come le vongole.

Gli arrangiamenti assolutamente liberi e istrionici che distruggono i confini delle abitudini. Come sono nate le scelte su come arrangiare i brani?
Ubba Bond: Dall’urgenza di creare percorsi inaspettati, soprattutto per noi stessi. Ogni volta che avevamo l’impressione di aderire troppo ad una “forma” abbiamo sempre rimesso in discussione il progetto, spesso invertendo la rotta. In tre anni abbiamo fatto e disfatto di continuo in cerca della giusta chiave…per farti capire, esistono almeno cinque differenti versioni di “Aprile”, due delle quali completamente orchestrali quando invece la versione finita su disco è semplicemente voce e chitarra elettrica (registrate in presa diretta dal vivo in studio). “Sushi” all’inizio si intitolava “Adriatico”, poi l’idea dell’eschimese timido che rompe il ghiaccio ha letteralmente scaraventato il pezzo nelle gelide acque dell’artico. Il che ha significato buttare via tutte le versioni precedenti e ricostruire un insieme musicale intorno all’idea dei due eschimesi. “Piove il mondo” è un riadattamento di un pezzo intitolato “Poesie” che Ubba ha scritto anni fa e che è solito suonare durante i suoi spettacoli di Stand Up Comedy sotto forma di Ragtime piano e voce: le intuizioni del Bond lo hanno trasformato in un pezzo che parte punk, vira reggae e infine atterra su un finale melodico...il che ha richiesto ovviamente la riscrittura di buona parte del testo. Sono solo alcuni esempi, ma ogni parola, ogni nota è stata sempre in discussione fino all’ultimo giorno e, nel continuo rincorrersi, le nostre idee si sono allontanate sempre di più da un terreno battuto. Si possono dire e scrivere tante cose di “Mangiasabbia”, può piacere o meno, ma siamo certi che sia difficile negare che sia il frutto di una totale libertà creativa.

A chiusura: “Mangiasabbia”, questo titolo così affascinante… è uno specchio della vita di oggi?
Non esattamente...ma non sei il primo che ce lo chiede e questo ci fa riflettere. Forse la “vita di oggi” ci porta tutti a ricondurre ogni atto di bellezza ad un ragionamento con un fine specifico. “Mangiasabbia” invece è anche e soprattutto una bella parola perché apre molte suggestioni e dentro c’è il mare, la cui bellezza è possibile assaporare solo mollando gli ormeggi: perdersi è solo la via più breve per ritrovarsi.