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Daniela D’Angelo: “Petricore" che arriva dal futuro


Qual è il futuro della canzone d’autore? Ho sempre pensato a questo come in preda ad una voglia di visualizzare il domani, la sua forma, il suo suono. E nelle tante prove filosofiche ho sempre trovato un punto comune che tornava ciclico: quel gusto classico che si vestiva di digitale e distopico. Ed ecco riassunto un disco come “Petricore" che trova nella voce di Daniela D’Angelo il vero quid classico della canzone sensibile, d’autore, di classe e di eleganza con quelle venature “adolescenziali” che non guastano e non creano distanza. E poi i suoni diretti da Vito Gatto che spaziano in un universo parallelo dove le metriche sono riviste e corrette, dove la forma certamente non perde aderenza con il nostro istinto pop ma la veste di uno scenario “apocalittico” (esagero un poco forse ma le virgolette servono a questo) che fa di questo esordio discografico qualcosa di davvero interessante. E questo gusto agrodolce lo ritroviamo anche nell’estetica fisica di questo disco. Il passato delle cose artigiane a custodire un mondo digitale che rompe le abitudini. E noi indaghiamo come nostro solito…

Partiamo proprio dal disco fisico. Marrone come la terra, di carta come la natura. Poi dentro il cd come il vinile. Richiama all’analogico e al reale. Come questo laccio fermato dal sigillo in cera. Sono cose antiche. Perché?
Hai usato proprio le parole giuste: il disco “fisico”.
In questa era del digitale, volevo proprio che desse questa impressione. Volevo anche che le persone desiderose di avere l’album su supporto avessero in mano qualcosa di unico (ogni CD è diverso dall’altro) e assemblato il più possibile dalle mie mani, così ho scelto tutti gli elementi che lo compongono. Come hai scritto, Il CD richiama il vinile (e quindi l’analogico), perché mi sembrava esteticamente bello, oltre al fatto che avrei voluto stampare dei vinili, ma non mi sento ancora così tanto ‘classica’ da produrre un oggetto così autorevole :). La sensazione di antico, di vintage, alla fine mi appartiene: il disco è imbevuto di elettronica (gli arrangiamenti del bravissimo Vito Gatto), ma è nato in sala prove ed è stato in prima battuta registrato in presa diretta (da Guido Andreani), quindi vive fra questi due estremi.

“Petricore” la voglio anche accostare, rimescolando quello che leggo e che dici, alla quiete dopo la tempesta. Ma non è proprio passata la tempesta… che ne dici?
È proprio così, la tempesta in realtà non passa mai, anche se – dopo averne appena attraversata una – ti accorgi che riesci ad affrontarne un’altra forse con più saggezza e fermezza. Sicuramente la realizzazione di questo disco è passata attraverso sconvolgimenti della mia vita e profondi cambiamenti.

La quiete arriva con “Esercitazioni” … quiete apparente… perché hai scelto questo brano da lasciare nudo così?
Questo brano è molto antico, l’ho scritto quando vivevo a Torino, ai tempi dell’università e credo si sia meritato di essere messo su un disco esattamente così com’è, un po’ ingenuo e fedele alla mia natura di cantautrice schitarrante, in cerca della bellezza dei maestri irraggiungibili, che non sa bene dove andrà, ma prova di continuo a stare in movimento.

Che accostamento curioso… “Biscotti e sigarette”. Che significa?
Questa canzone è nata in una di quelle mattine in cui ti svegli dopo aver dormito due ore. Stavo facendo colazione con il mio compagno di casa (detto anche coinquilino, ma che poi compagno lo è diventato davvero) e lui stava fumando una sigaretta, mangiando un biscotto (con un certo disgusto per quella felpatura che senti in bocca la mattina, dopo una serata dove – diciamo - hai un po’ esagerato…). La cosa ci ha fatto molto ridere e io ho preso la chitarra e ci ho fatto una canzone malinconica, partendo da lì. All’inizio era molto più rock, più urlata, poi l’abbiamo arrangiata in modo più morbido, cambiando anche la tonalità. Se penso alla sua genesi, comunque, sorrido ancora adesso!

Bellissima la copertina… un piccolo richiamo alla sofferenza, alla quiete dopo la tempesta… e torniamo sempre là… non credi?
Bisogna ringraziare Clara Daniele, con cui ho fatto qualche tempo fa, prima della pandemia e in pieno sconvolgimento esistenziale, questa sessione fotografica. Lei è un’artista visuale del cuneese, mia amica dai tempi dell’università (e credo la prima persona ad avere ascoltato ‘Esercitazioni’). Le avevo chiesto appunto di curare la parte fotografica dell’album, perché i suoi lavori sono profondi, bellissimi e nella sua estetica mi sono spesso ritrovata. Lei aveva in casa dei rami di Ziziphus Spina Christi (chi non li ha del resto? :)...) e abbiamo deciso di usarli per le foto. Ricordo che lei mi disse di abbracciare le spine, come per curarle e accoglierle, cosa piuttosto difficile, perché pungevano parecchio ed era impossibile non farsi male, se non evitando di opporre loro resistenza. In un certo modo, credo che il rapporto con la sofferenza vada vissuto nello stesso modo, ovvero abbracciandola. Anche se sinceramente - in prima battuta – questa immagine mi era parsa un po’ pretenziosa da parte mia (per tutto il carico che può portare), alla fine ho scelto questa foto per la copertina, perché mi sembrava comunque molto emblematica di tutto quello che avevo vissuto.