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In.Visible e il suono della libertà in “I’m not sorry”


"I'm not Sorry" è il nuovo singolo di In.Visible, artista e dj che ci racconta le sue notti da club con un singolo che in qualche modo segnala anche una svolta nelle sue sonorità. Lo abbiamo intervistato

Il titolo del brano, “I’m not sorry”, suona come una dichiarazione netta. Cosa significa per te “non chiedere scusa” oggi? 
In termini generali (a prescindere dal testo del brano) credo che viviamo in una società fortemente giudicante e che vive ancora un rapporto discontinuo con il concetto di indipendenza culturale. Volevo che la canzone riflettesse questo atteggiamento leggero nei confronti degli accadimenti della storia recente: un attimo di respiro a termine di una giornata pesante, non curarsi per un istante delle brutture che esistono là fuori.

La traccia mescola groove danzerecci e una forte componente emotiva. Come si bilanciano questi due elementi in fase di scrittura? 
Da batterista (quale sono originariamente) ho sempre amato la musica funk ed il mio percorso musicale è stato anche influenzato da Sly & The Family Stone, James Brown, Larry Graham e dal Brooklyn sound anni 70. Credo che il Groove sia anima. Amo incondizionatamente il four on the floor tra cassa e rullante, i bassi pulsanti e vibranti e trovo che tutti questi elementi musicali siano di per sé poetici ed evocativi.

Ti sei ispirato alla scena francese degli anni ’90 e 2000, dai Daft Punk a L’Impératrice. Cosa ti affascina ancora di quel sound? 
Mi piace la musica disco da sempre per i motivi di cui sopra e trovo che l’impulso che è stato dato dalle figure che hai citato ha avuto il merito di aggiungere quella componente elettronica e sintetica che ha ammodernato il sound originale di partenza e lo ha proiettato nella club culture dei nostri giorni .

La collaborazione con musicisti come Daniele Catalucci e Max Paparella sembra molto affiatata. Come è cambiato il vostro modo di lavorare insieme nel tempo? 
Non so esattamente se qualcosa cambi o meno. Probabilmente tra artisti e , soprattutto, persone connesse , credo che esista un dialogo che vada aldilà della parola stessa e che trovi il proprio linguaggio attraverso il suono . Quella per me rimane la vibrazione necessaria e non corrisponde a nessuna regola o dogma lavorativo.

Anche stavolta non hai trascurato l’aspetto visivo. Che dialogo hai instaurato con l’opera di ReginaQueen per la cover? 
Con Giulia (ReginaQueen) ci siamo conosciuti e lavorato insieme su un progetto artistico un paio di anni fa ma la cosa che ricordo maggiormente è stata passare una notte intera , dopo una nostra performance, a parlare di noi sdraiati sul divano di casa sua delle nostre vite, tra leggerezza ed introspezione ed, in qualche modo, c’entra con la narrazione del brano. Quindi anche in questo caso, arrivano prima le persone e poi lo scambio artistico è una conseguenza.

Che spazio ha oggi, secondo te, la forma canzone che si muove tra introspezione e ballabilità? 
Rischia di perdersi tra estremi? Io sono legato ad una idea di club in cui la centralità della musica è il fulcro dell’esperienza. Mi piace ricordare notti passate a cercare locali a Stoccolma, Vienna, Oporto, Glasgow in cui mi lasciavo guidare dal flusso e dai ritmi, come degli sciami di api impazzite. Per cui ho sempre dato un valore molto poetico alla club culture che per me è stata un modo per conoscere qualcosa in più del mondo e delle persone che lo animano.