Ciao, chi è Ferrylife?
Ferrylife è un personaggio e uno stile di vita. È la dicotomia tra il desiderio di andare all’after a drogarsi con gli amici e la consapevolezza che si rischia un attacco di panico già solo scendendo al Conad sotto casa.
Ferrylife è un personaggio e uno stile di vita. È la dicotomia tra il desiderio di andare all’after a drogarsi con gli amici e la consapevolezza che si rischia un attacco di panico già solo scendendo al Conad sotto casa.
Cosa rappresenta per te questo singolo?
“Lost My Weed in the Wood” può sembrare una buffoneria, ma in realtà affronta il tema della dipendenza psicologica, quella sensazione terribile che ti prende quando hai un disperato bisogno di qualcosa per star bene (con gli altri o con te stesso) ma non riesci a procurartela.
“Lost My Weed in the Wood” può sembrare una buffoneria, ma in realtà affronta il tema della dipendenza psicologica, quella sensazione terribile che ti prende quando hai un disperato bisogno di qualcosa per star bene (con gli altri o con te stesso) ma non riesci a procurartela.
Qual è stato il momento più importante del tuo percorso artistico fino a ora?
Direi che è stato quando mi hanno diagnosticato un disturbo bipolare. In un momento in cui tutto aveva perso di senso per me, l’unica attività umana che ancora mi andava di praticare era la musica. È stato allora che ho capito che a qualunque costo ne avrei fatto il mio mestiere.
Cosa significa per te il termine "hyperfolk"?
Dentro di me ci sono due lupi. Uno ama l’auto-tune e Tik Tok di Kesha, l’altro signorine con chitarra e voci graffianti che intonano canti malinconici. Un tempo pensavo di dover scegliere un genere e attenermi alle sue regole, poi mi sono detto: fanculo. Nessuno è una cosa sola, e trovo ci sia un grande potere nell’ammettere a sé stessi di essere una collezione di frammenti opposti tra loro. Hyperfolk è solo il modo in cui ho scelto di chiamare la fusione di tutto quello che amo e che sono.
Ci anticipi qualcosa del tuo album?
È un lavoro che racconta l’interiorità con la stessa delicatezza di un film splatter anni ’90; fontane di sangue, giugulari tagliate e tutto il resto. È una risposta alla scelta di raccontarsi che per gli artisti sembra essere diventata un dovere nella società post-social media. Volete sapere chi sono davvero? Accontentati. Ma se ora avete gli incubi, non incolpate me.