“Acqua e limone” segna una nuova tappa del tuo percorso. Che ruolo ha questo brano nella tua evoluzione artistica?
“Acqua e limone” e tutte le canzoni del disco in uscita in autunno (di cui “Acqua e limone” farà parte) sono state lavorate non solo da un produttore artistico (Alessandro Sicardi, che nel disco suona anche basso, pianoforte e molte chitarre, oltre a cantare i cori) ma anche direttamente da me. Abbiamo prodotto tutto il disco nello studio di Alessandro, seduti fianco a fianco, discutendo ogni suono, ogni pausa. Non mi era mai capitato, nei dischi precedenti, di avere il controllo su ogni dettaglio: è stata una bellissima esperienza, un bellissimo viaggio che io e Alessandro ci siamo regalati. Poter sperimentare liberamente, disfare lavoro fatto, mettere spesso in discussione l’uno le scelte dell’altro, divertendosi (e bevendo caffè) ci ha permesso di arrivare a un disco che ci soddisfa molto e che è allo stesso tempo lontano dall’idea che io avevo all’inizio della lavorazione delle canzoni.
“Acqua e limone” e tutte le canzoni del disco in uscita in autunno (di cui “Acqua e limone” farà parte) sono state lavorate non solo da un produttore artistico (Alessandro Sicardi, che nel disco suona anche basso, pianoforte e molte chitarre, oltre a cantare i cori) ma anche direttamente da me. Abbiamo prodotto tutto il disco nello studio di Alessandro, seduti fianco a fianco, discutendo ogni suono, ogni pausa. Non mi era mai capitato, nei dischi precedenti, di avere il controllo su ogni dettaglio: è stata una bellissima esperienza, un bellissimo viaggio che io e Alessandro ci siamo regalati. Poter sperimentare liberamente, disfare lavoro fatto, mettere spesso in discussione l’uno le scelte dell’altro, divertendosi (e bevendo caffè) ci ha permesso di arrivare a un disco che ci soddisfa molto e che è allo stesso tempo lontano dall’idea che io avevo all’inizio della lavorazione delle canzoni.
Il singolo sembra mettere a fuoco con delicatezza il tema della disillusione. Era un’emozione che sentivi urgente da condividere?
Disillusione, malinconia, impotenza davanti alla sconfitta, anche molta paura di crescere (o di invecchiare, come si dovrebbe dire arrivati a quarant’anni): c’è un po’ di tutto questo dentro “Acqua e limone”. Più che di “urgenza di condividere” parlerei di “necessità di esternare”: la scrittura, la mia scrittura, nasce sempre dal desiderio forte e allo stesso tempo estremamente momentaneo di prendere un’emozione, piacevole o dolorosa che sia, tirarla fuori dalla dimensione di indefinitezza che ha nel momento in cui la sento e scolpirla nelle parole per renderla “eterna”, per poterla riguardare a distanza di tempo e non dimenticarla. È qualcosa che faccio per me, per non perdere i pezzi. Poi è chiaro che nel “condividere” la propria scrittura, sia essa in forma di poesia o di canzone, la speranza è sempre che l’emozione che si è cercato di congelare nelle parole venga colta anche dal lettore/ascoltatore, che anche lui/lei si emozioni come ci siamo emozionati noi: sarebbe ipocrita dire che questo non fa piacere. Allo stesso tempo è bellissimo quando chi legge una poesie o ascolta una canzone trova all’interno del testo delle emozioni e dei significati totalmente personali, cui lo scrittore aveva neanche pensato.
Hai attraversato città, palchi, circoli culturali. Cosa ti porti dietro da questo viaggio continuo?
Si, mi è capitato di suonare in palchi importanti, come il Legend Club o gli ARCI Bellezza e Ohibò a Milano e in situazioni molto più piccole, intime, discoste, sia dal punto di vista geografico che umano. Io dico sempre che “tutta questa baracca” di fare dischi, pubblicarli, promuoverli, la faccio solo per il piacere di andare in giro a suonare le mie canzoni. La cosa che mi porto sempre a casa, da ogni concerto, è l’emozione negli occhi di chi ascolta le mie canzoni: ricordo una serata in un piccolo locale ad Imola, io suonavo per la prima volta una canzone dedicata alla mia mamma che non c’è più (una canzone che sarà all’interno del prossimo disco) e in prima fila una ragazza ascoltava e piangeva. Dopo il concerto non ci siamo detti nulla, se non “grazie” e ci siamo abbracciati: ecco, questo è quello per cui vado in giro a suonare.
La tua musica ha radici forti, ma anche voglia di spostarsi. È una metafora della tua vita?
Non l’avevo mai pensata così, però è molto vero: all’inizio della lavorazione di ogni disco parto con un’idea molto precisa, molto radicata, e poi finisce sempre che il risultato assomigli sì a quell’idea, ma alla lontana, di traverso. Questo assomiglia alla mia vita? Non lo so; di certo in quarant’anni un po’ di giri li ho fatti, fra Calabria, Toscana, Germania e Lombardia, e forse mi porto dietro nella musica che faccio questo scontro forte fra la voglia di stare fermo in un posto e metterci le radici, e poi di fatto l’incapacità concreta di metterle queste radici, di farle andare a fondo (ammazza, quest’intervista sta diventando pesante).
Cosa cerchi oggi in una canzone: uno specchio, una cura o un dialogo?
Nelle mie canzoni cerco assolutamente uno specchio, un modo per guardarmi (si spera meglio). Mi è capitato spesso di pensare al fatto che nella scrittura non ci sia cura. Al contrario, nella scrittura altrui spesso si trova la cura: nel sapere che altri, in altre epoche storiche, in altre aree del mondo, hanno vissuto i nostri stessi dolori, c’è come una diluizione, magari anche solo temporanea, del nostro personale dolore. Un esempio che mi tocca moltissimo: la raccolta di poesie di Vivian Lamarque intitolata “Madre d’inverno” in cui lei parla della sua mamma morta mi ha aiutato molto, non dico a superare, ma almeno a capire e ad accettare il dolore per la scomparsa della mia di mamma.
C’è un luogo, fisico o mentale, in cui ti piace rifugiarti per scrivere?
La prima risposta, di pancia, che mi è venuta in mente è “il mio divano blu” :) In realtà io non ho un posto in cui scrivere, non sono di quelli che si siede e scrive, non sono in grado di scrivere “a comando” (e infatti non sono in grado di scrivere per altri). Al contrario, scrivo solo quando l’emozione di cui sopra viene fuori, e a quel punto si che c’è l’urgenza di fermarsi e scrivere; mi è capitato di scrivere dovunque: fermo fra le corsie del supermercato, in una piazzola di sosta autostradale, in spiaggia, in bagno…(potrei andare avanti per molto).