"Au Contraire" è il nuovo album del cantautore alessandrino Torchio, un viaggio fra canzoni sincere e profondamente poetiche. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
“Au Contraire” è un naufragio volontario che non promette porti sicuri. Non cerca di guarire, ma di dare un senso alle ferite. La contraddizione, quella creatura a due teste, non è un errore di stampa nel libro dell' esistenza. È semmai l’inizio del racconto. È giunto il tempo in cui accettarle le proprie fragilità.
La pausa non è assenza, è attesa. È la cassa toracica del suono. Il linguaggio imperante non mi è mai interessato e in ogni arrangiamento cerco i margini, gli angoli in ombra. Il ritmo a volte lo decide il cuore, non il metronomo. E alcune volte il cuore si ferma, e lì nasce la musica.
I premi sono medaglie appese a un chiodo, restano li a perdersi nel tempo. Invece ogni incontro lascia un segno, anche il silenzio certe sere, pesa come un baule pieno di ricordi. Tutto questo ha nutrito “Au Contraire”, un disco che ha certamente più cicatrici che paillettes.
“Sostituibile” era il risveglio nel letto sbagliato. “Non vi appartengo” una fuga nella notte a fari spenti. “Au Contraire” è un disco che non teme l’ambivalenza, perché ormai ho capito che la vita non è un monologo, ma un coro di voci, alcune stonate, altre sprecate o spezzate. È un’evoluzione non perché punti più in alto, ma perché affonda di più. Perché in questi tempi terrificanti bisogna avere il coraggio di essere crudelmente delicati e sapere prendere posizione, anche quando è pericolosamente scomoda.