Nel suo nuovo singolo Il peso dell’amore, Cristina Bonan affronta con delicatezza e profondità uno dei momenti più difficili da vivere: la solitudine che segue la fine di una relazione. Tra immagini evocative, ricordi che riaffiorano e un senso di disorientamento, la canzone racconta quel passaggio fragile in cui ci si ritrova a fare i conti con la propria vita, ormai cambiata. Con uno stile intimo e sincero, Cristina descrive l’invisibile fatica di ricominciare, tra nostalgia e necessità di andare avanti. In questa intervista per Cherry Press, l'artista si racconta: dalla responsabilità emotiva nella scrittura al valore della fragilità nel pop contemporaneo, passando per le influenze familiari e i modelli che l’hanno ispirata.
I tuoi brani parlano spesso di emozioni profonde: senti una responsabilità quando scrivi?
Sì, in parte la sento. Quando inizio a scrivere, il primo obiettivo è sempre quello di raccontare a me stessa ciò che provo, come se la canzone fosse una sorta di diario. Poi, man mano che il brano prende forma, capisco come riuscire a trasmettere certe emozioni anche agli altri, e d è a quel punto che sento nascere una certa responsabilità: sento il bisogno di essere fedele a quello che ho vissuto, ma anche attenta al modo in cui lo comunico. Mi piace pensare che, in qualche modo, chi ascolta possa riconoscersi in quello che scrivo ed è proprio in quel passaggio, dall’intimo al collettivo, che nasce la vera cura della scrittura.
Secondo te, c’è ancora spazio nel pop italiano per la fragilità?
Assolutamente sì, anche se oggi spesso il mercato musicale sembra premiare l’immediatezza o l’intrattenimento, credo che ci sarà sempre spazio per raccontare la fragilità. Le emozioni non passano mai di moda, perché fanno parte dell’essere umano in ogni tempo ed epoca. Anzi, in un mondo così veloce e caotico, penso che la sincerità e la vulnerabilità siano un valore aggiunto, magari si nascondono dietro sonorità diverse rispetto al passato, ma ci sono, e il pubblico le cerca. Sono convinta che sia importante non aver paura di mostrarsi per come si è, anche se questo significa esporsi un po’ di più.
Come definiresti oggi la tua identità musicale?
È una domanda che mi faccio spesso anch’io: ho cominciato relativamente da poco a farmi spazio nel mondo della musica e negli ultimi anni sento di essere maturata molto, anche grazie all’esperienza e alla consapevolezza di quello che voglio raccontare. Sto imparando a conoscermi meglio, a capire quali sonorità mi rappresentano davvero e quali parole mi rispecchiano. Il mio obiettivo è lasciare che il mio percorso mi porti naturalmente a definirmi, passo dopo passo, in fondo anche l’identità è una forma di viaggio.
In che modo la tua esperienza con la Smile Music Band influenza la tua scrittura solista?
La Smile Music Band, gruppo musicale composto da me e i miei quattro fratelli e sorelle più piccoli, ha un impatto fortissimo sulla mia musica. Non solo per il sound, perché spesso suoniamo i brani insieme prima ancora di realizzare la produzione in studio, ma anche per l’energia e l’ispirazione che loro mi trasmettono. Suonare con i miei fratelli mi aiuta a non perdere mai il gusto del fare musica in modo spontaneo e genuino. Anche le cover che suoniamo insieme sono una fonte continua di stimolo: imparare a capire e poi interpretare altri artisti ci fa crescere moltissimo.
Hai dei modelli artistici a cui ti ispiri per il tuo percorso?
Sì, ci sono alcuni artisti che sento particolarmente vicini al mio modo di fare musica. Uno su tutti è Cesare Cremonini, che considero un punto di riferimento per la profondità dei testi e per l’eleganza con cui racconta le emozioni. Mi ispirano molto anche i Pinguini Tattici Nucleari, per la capacità di unire leggerezza e significato. E poi seguo con grande interesse artisti come Alfa e Fulminacci, che stanno costruendo un percorso autentico, ognuno con una propria identità ben definita. Da ciascuno cerco di cogliere qualcosa: una scelta melodica o armonica, un modo di scrivere, delle scelte di sound.