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MAIA: “Il Funerale” come nuovo centro narrativo del suo universo visivo

 

Il nuovo video Il Funerale è il punto di accesso più diretto all’universo narrativo di MAIA, non solo perché amplia la storia iniziata con Cuore, ma perché definisce con chiarezza il modo in cui l’artista costruisce significato attraverso l’intersezione tra immagine e musica. L’opera si apre su un’estetica controllata, caratterizzata da scene statiche in cui la protagonista rimane immobile mentre tutto si muove attorno a lei, una scelta che restituisce l’idea di un tempo emotivo sospeso, di un pensiero che si cristallizza mentre il mondo continua a procedere. Questo linguaggio visivo è il risultato di un percorso progettuale in cui la creatrice di MAIA ha scelto di rendere la forma parte integrante del contenuto, utilizzandola non come supporto, ma come estensione del racconto. 

Il singolo che accompagna il video adotta la stessa impostazione: Il Funerale non punta sull’enfasi, ma sulla sottrazione. La voce di MAIA si muove su una linea sobria, quasi trattenuta, lasciando che siano le parole a costruire la progressione emotiva. L’immaginario del funerale non viene usato in modo melodrammatico, bensì come metafora per descrivere un momento di consapevolezza: l’interruzione improvvisa di una relazione lunga genera un vuoto che, nell’assenza di risposte, prende la forma di una perdita simbolica. È un lutto non per la persona, ma per l’idea che la protagonista aveva costruito e che crolla nel momento in cui la verità emerge. 

Il Funerale arriva come prequel narrativo di Cuore: cosa ti interessava raccontare attraverso questo nuovo tassello della storia? 
Mi interessava raccontare l’origine della cicatrice. Cuore mostrava il dopo, la vendetta. Il Funerale è l’istante in cui tutto si spezza: quel momento sospeso in cui sai che qualcosa è finito, ma non riesci ancora ad accettarlo. Volevo dare una forma a quella stasi, al vuoto tra consapevolezza e ammissione. È l’attimo in cui il mondo continua a muoversi, mentre lei resta immobile. 

Il video alterna immaginazione e realtà in modo molto netto. Da dove nasce l'idea di trasformare un dolore emotivo in una messa in scena così visiva? 
Il dolore ha bisogno di un corpo per poter essere attraversato. La realtà è la stazione, il luogo del tradimento. L’immaginazione è il cimitero, ma cambia di significato: nel primo ritornello lei crede davvero che lui sia morto, ed è disperazione. Nel secondo e nel terzo sa la verità: lui è vivo, ma per lei quella storia è sepolta. Il cimitero diventa il luogo mentale in cui si dà una fine a qualcosa che esiste ancora ma non respira più. La frattura tra realtà e immaginazione serve proprio a questo: mostrare la dissociazione, il lutto che evolve mentre la coscienza si chiarisce. 

Nel singolo affronti temi come ghosting e manipolazione emotiva. Qual è stato il punto di partenza per trasformare un'esperienza personale in racconto artistico? 
Non parto da un’esperienza personale, ma dall’osservazione di ciò che vedo intorno: il ghosting come linguaggio, la manipolazione sottile, l’ansia d’abbandono amplificata dai social. Non sto confessando qualcosa di mio, sto restituendo un’emozione collettiva. MAIA non racconta un vissuto, traduce dei pattern in immagini e suono. Non serve averlo vissuto per riconoscere il vero. 

C'è una scena del video che consideri centrale per capire davvero il brano? 
Non è la scena più importante per capire il brano, ma è cruciale per capire MAIA: il momento in cui lei sostituisce tutti i quadri con le sue foto. È un gesto simbolico netto. Non è vendetta (quella arriverà in Cuore) ma riappropriazione. È l’attimo in cui smette di essere un effetto e torna ad essere causa. Definisce chi è MAIA: attraversa il dolore, lo osserva, ma non perde se stessa. 

Questo progetto sembra il capitolo di un percorso più ampio. Che direzione senti di voler esplorare dopo Il Funerale, sia a livello narrativo sia nelle prossime uscite? 
La direzione è multipla. Non voglio uno storytelling lineare. MAIA è un universo di angolazioni, pieni e vuoti, luci e tagli. Ho già quasi un disco pronto, ma non voglio pubblicarlo in blocco: voglio creare tensione narrativa, aprire sentieri invece di chiuderli. Voglio fare qualcosa che in Italia non è mai stato fatto.