Ugo Russo, in arte RUSSO AMORALE, pubblica questo suo primo lavoro di inediti dal titolo “Europe”, in bilico tra l’italiano, il francese e l’inglese, tra quel ruvido approccio “anarchico” degli anni ’70 e le belle soluzioni melodiche della canzone pop italiana. Pubblicato da Esagono Dischi con la produzione artistica di Stefano Riccò, lo sfondo sociale che fa da collante al disco è l’Italia di oggi ma anche la nostalgia dei tempi beat del passato e la bella controcultura bolognese… e non è un caso se a questo progetto si sia avvicinato, spiritualmente e artisticamente, anche un artista come Massimo Zamboni. “Europe”, figlio di una proficua campagna di crowdfunding, va ascoltato nelle sue tante piccole citazioni di stile, va assaporato con quel piglio di libera condivisione e di immutata speranza verso una società quotidiana più attiva e pensante. Questa voce graffiante, questo suono che sa di America e di deserto, questo francese che colora e qualche intervento in inglese che sporca… questo disco che spezza la consuetudine digitale della nuova canzone d’autore italiana, quella noiosamente ricca di perfezioni digitali.
Esordio ufficiale in piena regola per Russo Amorale. Cosa c’è di amorale in tutto questo?
Beh, forse tutto, forse niente. Con questo alfa privativo, a-morale non è morale ma non è neanche immorale. Mi piaceva il fatto che amorale fosse una specie di parola aperta da cui possono derivare più interpretazioni. Questa scelta rimanda al mio « essere di frontiera » (come cantava Paolo Conte): un po’ francese, un po’ italiano.
Tra questi inediti hai rispolverato, in italiano questa volta, “Wildfires” che avevi pubblicato nell’Ep di qualche tempo fa. Come mai la scelta di cantarla in Italiano?
A onor del vero « Wildfires » non era presente nel mio primo EP. In origine, questa canzone è nata dopo un viaggio nei deserti americani. Era una poesia scritta in inglese che poi ho trasformato in canzone, la cui versione originale si trova anche nell’album come « bonus track ». La versione italiana è stata fortemente voluta da Massimo Zamboni: gli piaceva molto il brano ma l’inglese non gli andava giù, come potete ben immaginare! Nonostante fossi un po’ restio all’inizio, nonostante la difficoltà di adattare la metrica italiana ad una linea melodica nata l’inglese, credo che sia stato un consiglio molto azzeccato.
Italiano francese e inglese. Perché questa mescolanza di lingue? Un significativo incontro tra culture o è anche una scelta estetica per via del suono e delle parole in gioco?
È prima di tutto una scelta biografica, sono nato e cresciuto in Francia in una famiglia di origini italiane: mio padre mi ha sempre parlato in italiano, sono cresciuto con entrambe le lingue. La mia cultura, il mio immaginario, sono quindi sempre stati caratterizzati da questa commistione. Poi aggiungici l’inglese, una lingua che ho sempre amato molto, la lingua di un certo tipo di letteratura, la lingua del rock, e il gioco è fatto. Alcuni testi nascono in francese, altri in italiano o in inglese. Hai ragione, si tratta anche di una scelta estetica: ogni lingua rimanda a scenari mentali diversi ma anche a sonorità e metriche particolari. Mi piace molto giocare con questi materiali vari: ad esempio la canzone « Qui s’y frotte s’y pique » è cantata in italiano ma con degli inserti in francese... E il titolo rimanda al motto della mia città Nancy, significa « non avvicinarti pungo ».
Radicato nella Bologna dei CSI… eppure, nel complesso, hai un suono molto lontano da quella scena non trovi?
Mi fa piacere, io invece la sento eccome l’influenza dei CSI. Quindi sono contento che tu non la percepisca affatto, significa forse che sono riuscito ad affrancarmi un po’ dai miei modelli estetici.
E parlando di società, tema a te caro soprattutto per la scena emiliana: cosa significa oggi per te stampare e pubblicare un disco? Che peso ha la musica in questa società?
Sono domande complesse, « macro », non saprei risponderci così a bruciapelo. Sicuramente stampare e pubblicare un disco di 10 tracce è un’operazione un po’ vintage, diciamo, in questo momento vanno molto di più i singoli brani o gli EP di tre o quattro canzoni. Ma la forma album mi sembrava più consona al discorso artistico che volevo imbastire: ci sono un sacco di rimandi tra i vari brani e tra le lingue, c’è una simbologia ben definita che si dispiega lungo le canzoni. Se volessi usare parole grosse, potrei quasi dire che si tratta di un concept album sulla deriva psicogeografica.
Per quanto riguarda il peso della musica nella nostra società, nonostante sia cambiata drasticamente la sua fruizione negli ultimi anni (nel bene e nel male), la musica sarà sempre una costante nella vita di tutti, è un dato di fatto antropologico.
Ci lasciamo con il video di “Wildfires”. Che scenario stavi cercando? Ci sembra un po’ un ibrido tra il west e la dolce vita…
Nel video, l’America è lontana, è un ricordo, una fantasticheria che arriva soltanto a sprazzi, proiettata sulle tende rosse di un teatrino claustrofobico. I filmati dei cavalli mustang californiani che si vedono nel video mi sono stati affidati da un caro amico americano, l’attore Ray Abruzzo, noto per la sua parte di Little Carmine nella serie TV cult « The Sopranos ». Ray è italo-americano, quindi direi che è lui il perfetto ibrido tra west e dolce vita... Io sono forse un ibrido tra nord-est della Francia e pianura padana!