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I tabù di oggi raccontati da un’artista speciale: conversazione con Rossella Seno


Intervistare la Cantattrice - come definito nella nota biografica - Rossella Seno, autrice insieme a nomi celebri dell’album Pura come una bestemmia (edito da Azzurramusic) mi metteva addosso un’agitazione “pura come il pepe”: come affrontare temi esistenziali e difficili, quali il dramma dei migranti, l’omicidio di Cucchi, la violenza sulle donne e sugli animali? Come presentarsi a un’artista dalla carriera ricca, che va dalla difesa degli animali alla denuncia, in qualità di testimonial della ONLUS Ti amo da morire, contro il femminicidio?  Un’attrice in scena per quattro anni con lo spettacolo Cara Milly, testimone di un Novecento lontano: Milly (1905-1980) donna libera, che da soubrette capace di far innamorare il Principe Umberto o il giovanissimo Cesare Pavese, che a lei dedicò poesie e che per lei (la attese per ore sotto la pioggia) prese una polmonite; Milly, dunque, capace di attraversare un secolo trasformandosi in cantante e attrice impegnata, interprete di Brecht e Bertolucci. Altri tempi?
Di soddisfazioni Rossella ne ha ricevute, anche se ne parla come di una casualità (“Eh si, in effetti di cose ne ho fatte...”): vincitrice del Premio Speciale Ciampi nel 2008 con E il tempo se ne va di Ciampi-Marchetti, dall’aprile 2017 porta in scena Puri come una bestemmia, spettacolo di canzone teatro, con Lino e Yuki Rufo; si parla di femminicidio, infine, nello spettacolo L'Amore Nero.
Come afferma Pino Pavone (uno dei parolieri di Piero Ciampi e autore di Principessa e altri brani presenti nell’album): “Non deve esserci rammarico nell’aver vissuto ma solo la serenità della comprensione della Natura dalla quale siamo modellati”. E’ un concetto che Davide Iannuzzi, autore del soggetto e dello script del video, conferma: “I temi della nostalgia e l’abbandono della giovinezza, lasciano dietro di sé una scia di positività che fa guardare in avanti, verso un passato da riscrivere per diventare futuro”.
Nell’articolo di Elisabetta Castiglioni si legge che Principessa narra, di una donna,“il cammino progressivo della sua immagine dalla gioventù alla terza età. Un punto di arrivo che coincide con quello di una nuova ripartenza”. Il video, in effetti, è struggente e malinconico quanto lo sono i brani contenuti nell’album citato, Pura come una bestemmia: un titolo provocatorio, così come le storie e i soggetti di queste particolari “ballate” ispirate da un “femminile” che guarda avanti, che combatte per sé e per gli altri: questo è sicuramente un messaggio forte, lanciato con convinzione dall’affascinante cantante veneziana, nel corso della conversazione che ha sovvertito lo schema di un’intervista vera e propria. Rossella la sovversiva? Forse ... 
Ogni domanda è annullata, Rossella ci risponde con un tono brillante, da vecchia amica: eppure non ci siamo mai incontrate. Tuttavia, il “femminile” è proprio questo, è un’anima particolare, che oltrepassa i silenzi (“senza falsi pudori come un gatto”, nel testo Principessa) imposti dal mondo per rimanere se stessi.
“Ti è piaciuto quel gatto nero che mi segue in tutto il percorso?” mi chiede all’improvviso e non è un caso: il gatto nero è simbolo del diverso o del reietto e al contempo delle profondità del mistero archetipico e inconscio. Nel video Principessa - questa lunga camminata in un palcoscenico disegnato ad arte da Stefano Ripamonti - il gatto nero la segue fedele nelle trasformazioni e si ha l’impressione che sia lui a guidare il percorso o comunque accompagnarla, sodale nell’invettiva (“questa giornata di gelo da sputare”) come nella malinconica accettazione, passando avanti un orologio che via via si trasforma - si deforma come quello rappresentato da Salvador Dalì - con un esplicito riferimento a Il posto delle fragole di Ingmar Bergman.
Se non fosse per la vivacità trascinante di Rossella, si penserebbe a qualcosa che evoca il dramma e invece no, ci si sente più convinti che una donna ha la capacità di abbracciare la vita ed è portatrice di una forza quasi sacra, si pensi ai ruoli delle Donne selvatiche, il libro di Claudio Risè, dedicato al femminile che diviene natura e coraggio. 
“In una parola, empatia” dice Rossella nel sintetizzare l’interpretazione dell’album: la vicenda degli orsi tibetani (Luna su di me, quasi una “preghiera di morire”, spiega Rossella) tenuti in gabbia in allevamenti intensivi, torturati da sonde per estrarre la loro bile, utilizzata nella medicina sud asiatica. In Gli occhi di Stefano, il brano commovente (ma lo sono tutti, commoventi) in cui il viso distrutto di Stefano Cucchi non può non evocare il martirio di Gesù: lì le milizie, qui gli interrogatori. C’è poi l’emblema della libertà femminile, pagato caro nei secoli: la strega, personaggio particolarmente caro alla cantante, che in La chiamano strega si ispira a Simona Kossak, la biologa che trascorse molti anni in solitudine nella foresta di Bialowieza, in una capanna senza elettricità, acqua corrente, lontano da ogni comodità. La canzone si rivela una “lode” alla natura, agli animali incompresi e spesso vittime dell’uomo.
E allora, perché una copertina così provocatoria? Perchè da sempre la donna che vuole vivere la sua vita in libertà è crocifissa, come accadeva con le streghe e come accade oggi con le centinaia di vittime di femminicidio e di maltrattamenti, è la risposta.
Chiuso il telefono, ho trascorso la serata ad ascoltare i brani, che sono tutti sulle piattaforme digitali e che sono obiettivamente bellissimi, nello stile della ballata o della preghiera, o meglio, nello stile multiforme dell’artista che ha fatto dell’esperienza il cuore vitale di un orologio perennemente alla ricerca di una verità tutta al femminile.

Luisa Sisti