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“Vorrei accendere la luce” è il nuovo singolo di Alessandro Zanolini. L'intervista

Alessandro Zanolini nasce a Piacenza il 17 gennaio 1986. Comincia a suonare la chitarra a 15 anni dopo una gita scolastica in Costiera Amalfitana e di lì a poco matura l’esigenza di raccontarsi attraverso la scrittura di canzoni. 

Tiene il suo primo concerto nel 2006 con una scaletta di soli brani inediti. Nel 2009 si esibisce presso l’auditorium di Radio e Video Italia vincendo una borsa di studio nell’ambito del concorso “Radar” ideato da Franco Zanetti e Massimo Cotto. 

Nel 2010 esce il suo primo album “Ci sono cose che ti devo raccontare” interamente scritto da lui ed arrangiato ed eseguito insieme alla sua band. È due volte finalista del Premio Fabrizio De André (2011 e 2013) e finalista del primo talent per autori di canzoni “Genova per Voi” (2013). Nel novembre 2017 vince il premio dell’associazione autori nell’ambito del Premio Pierangelo Bertoli condividendo il palco con Francesco Guccini, Simone Cristicchi, Tazenda e Zen Circus. 

Nel dicembre 2017 vince il premio SIAE per la miglior canzone nell’ambito de “La Bottega degli Autori”, master di songwriting promosso da SIAE e Warner Chappel e diretto dal Maestro Diego Calvetti. L’8 febbraio 2019, durante il Festival di Sanremo, esce “Red”, il disco di inediti di Patty Pravo, nel quale firma la canzone “Nessuno ti aspetta”. A marzo 2021 è nuovamente finalista di “Genova per Voi”.

L'INTERVISTA

Ciao Alessandro, benvenuto tra le pagine di Cherry Press. Parlaci del tuo nuovo singolo, "Vorrei accendere la luce". Come è nato questo brano e di cosa parla?
È un brano che racconta della scoperta dell’amore fisico, della prima volta; ho voluto scrivere questo racconto perché ne ho sentito la necessità durante la stesura del disco, infatti fungerà da giro di boa al suo interno. Inoltre ho voluto sfruttare questo tema come metafora del concetto di “prima volta”, ovvero quell’evento unico e irripetibile colmo di sentimenti contrastanti di incoscienza, trepidazione, ansia, gioia, timore, pudore: vorresti fotografare tutto ma sei troppo impegnato a (non…) capirci qualcosa e le emozioni vanno troppo più veloci del cervello.

Cosa fai nella vita oltre ad essere un musicista?
Sono il responsabile di un ufficio all’interno di una multinazionale della mia zona. Un lavoro che sembra lontanissimo dalla musica, e forse lo è davvero, ma che in realtà mi dà tantissimi spunti perché sono in contatto con tantissime persone di generazioni diverse e soprattutto tocco con mano situazioni diverse dalle solite di cui si parla nelle canzoni, infatti nel disco ci sarà spazio anche per un racconto di questo tipo.

Quali sono gli artisti che non possono mancare nella tua playlist di Spotify?
Potrei citarne a decine partendo dai mostri sacri del cantautorato Italiano come De Gregori, Guccini, De André, Battisti, passando per altri top come Ligabue, Vasco, Jovanotti, Max Pezzali (che mi ha letteralmente svezzato da bambino), fino alla scena cantautorale dei vari Gazzé, Moro, Cremonini, Ermal Meta, Gabbani, Tiziano Ferro. E poi all’estero U2, Coldplay, Ed Sheeran ma anche la gioventù con gli Oasis, i miti come Springsteen e Bon Jovi. E infine chiunque scriva una canzone che mi emoziona.

Come ti sei avvicinato alla musica?
Ho sempre canticchiato da piccolo le canzoni del pop Italiano anni ’90, 883, Ramazzotti, Nek, ma è stato a 16 quando ho ascoltato per la prima volta Ligabue in un disco dall’inizio alla fine che sono stato letteralmente folgorato dalla musica ed ho iniziato a suonare e scrivere.

Qual è un consiglio che puoi dare ai ragazzi più giovani di te che si approcciano per la prima volta al mondo della musica?
Di viverla sempre come una passione a cui dedicare amore e, perdona il gioco di parole, appunto passione. Non bisogna suonare perché qualcuno ce lo impone o per “diventare famosi” perché questo è il modo migliore per non essere sinceri, e quindi perdere credibilità, ed anche per rimanere delusi quando qualcosa andrà storto perché sarà normale che qualcosa ci vada. Se si suona e si scrive per il gusto di farlo allora ci si immerge davvero nella musica e si superano gli ostacoli iniziali (ad esempio imparare uno strumento) e quelli che si trovano lungo il cammino (le critiche più o meno costruttive alle canzoni, le difficoltà a trovare sbocchi live o discografici e qualsiasi cosa che faccia venire voglia di mollare); solo così la musica potrà diventare compagna e terapia fedele e soprattutto veicolare il nostro essere in modo profondo e credibile facendoci crescere come persone e come artisti.