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Bia Rama: contaminando ogni cosa si trova l’equilibrio


“Mad Balance” è un disco prezioso. Sicuramente dentro non esistono targhette riconoscibili a priori per la scaffalatura. Di sicuro dentro non esistono margini e cartelli ad indicare il percorso. Eppure riconosciamo l’elettronica, il jazz, l’avanguardia moderna della non forma. “Mad Balance” è il primo lavoro dei Bia Rama, trio a cui dedichiamo un ascolto immersivo alla ricerca di qualcosa di spirituale e ritualistico che arriva all’istinto e all’impatto del primo giro di boa. La pareidolia che mettiamo in scena da questa copertina la dice lunga…

Esordio dei Bia Rama e qui è inevitabile non chiedervi le origini di questo moniker…
Non vorremmo mai che ci facessero questa domanda, a dirvi la verità, perché in realtà il nostro nome ha un origine del tutto banale! Abbiamo provato a dargli una “forma” più interessante di quanto non lo sia realmente ma comunque è l’accostamento delle iniziali dei nostri nomi: Biagio, Raffaele e Mara.

Ho come l’impressione che dietro tutto questo ci sia un qualcosa di spirituale, di rituale… insomma come fosse una tradizione popolare in chiave moderna. Non so come altro spiegarlo… che mi dite?
Beh innanzitutto vi ringraziamo per l’accostamento che avete fatto della nostra musica ad un elemento così importante della vita delle persone, cioè l’aspetto spirituale legato alla natura di ogni essere umano. Sappiamo che le tradizioni popolari da voi citate sono una tradizione così autentica e appartenenti all’aspetto più selvaggio e reale della natura umana che questa domanda veramente ci lusinga. D’altronde se non fosse così di certo un compositore del calibro di Bela Bártok non sarebbe andato in giro per i campi e le foreste ungheresi a registrare proprio i canti rituali e tradizionali della storia della sua nazione. Comunque, riguardo la nostra musica, non sappiamo se sia veramente cosi come voi dite. Quando lavoriamo ai nostri brani siamo sicuramente attenti a dare sufficiente spazio a quello che il nostro corpo e la nostra anima vuole esprimere. Cioè la razionalizzazione entra in gioco in una seconda fase, durante la realizzazione di un brano. Si dice che bisogna imparare tanto, rispettare gli schemi prestabiliti, le forme pre-esistenti, i linguaggi già sviluppati e la storia passata, come nel Jazz. La cosa che più ci piace del linguaggio Jazzistico, ed è l’elemento che proviamo a portarci dietro lungo il nostro cammino musicale, è che una volta che sono stati assimilati tutti quegli elementi di cui sopra, la forma, il linguaggio, gli schemi etc etc un musicista deve TRASCENDERLI ed è quello che proviamo a fare ogni volta. Probabilmente questa è l’aspetto che conferisce alla nostra musica qualcosa di rituale, come dite. Diamo un forte valore al ritmo, che è un elemento strettamente legato al corpo umano, cerchiamo linee vocali interessanti e progressioni armoniche che abbiano un forte significato emozionale. Sarà per questo che vi è nato quest’accostamento e noi vi ringraziamo per averlo notato.

Improvvisazione: quanto spazio avete lasciato al caso?
L’improvvisazione gioca un ruolo molto importante nella nostra musica. Ci siamo nutriti e ci nutriamo ancora dell’ascolto di grandissimi improvvisatori del panorama jazzistico mondiale ai quali dobbiamo molto e ai quali ci ispiriamo largamente. Il caso, se così possiamo definirlo, ha avuto ed avrà sicuramente un ruolo nella nostra musica. Lo spazio che dedichiamo a questa variabile è differente nelle diverse fasi di creazione musicale. Può essere sicuramente un incipit da cui cominciare a lavorare ad un idea, che nasce estemporaneamente durante le prove. Oppure può venirci in soccorso quando cerchiamo disperatamente un suono e sfogliamo alla rinfusa librerie e librerie di suoni, quando poi, il caso di cui sopra, ci fa trovare proprio quello che ci eravamo immaginati. Però poi, quando un’idea di un brano prende forma, riusciamo ad essere molto razionali e a ragionare sulle diverse soluzioni che potrebbero valorizzare certi messaggi musicali. Da questo punto in poi, il caso, viene delineato e utilizzato come parte di un insieme che diventerà poi il brano. Sicuramente possiamo dirvi che, se durante un nostro brano abbiamo deciso di farci guidare dalla musica verso una parte d’improvvisazione, difficilmente sappiamo poi dove potremmo andare a finire.

Esiste una dimensione di normalità dentro la pazzia?
Non crediamo di essere in grado di rispondere ad una domanda del genere, se non riferendoci al nostro vissuto come trio. Risulta comunque difficile parlare di pazzia e normalità perché bisognerebbe sicuramente definirle, almeno all’interno del contesto in cui si cala la domanda posta. Per noi la normalità è qualcosa che non conosciamo, ma non perché ci definiamo anormali, piuttosto perché crediamo sia qualcosa legato alla natura dell’uomo, quindi ai suoi bisogni più primordiali. Qualcosa a cui, nei giorni nostri, viene dato sempre meno spazio. Un leone che da solo nella savana scatta incontro ad una preda per cibarsi, quella per noi è normalità. Una coppia di amici che si abbracciano per la gioia di stare assieme, o solo perché è da tanto che non si rivedono, è normalità. Il sistema sociale/economico/finanziario nel quale oramai tutta l’umanità è calata e al quale deve rispondere, per noi non è normale. L’essere costretti a lavorare per più di otto ore al giorno, trascurando tutti i bisogni che invece sono naturali per la persona, per noi non è normale. Allora, se questa è la normalità a cui si fa rifermento, quindi la normalità che coinvolge tutti, tutta la società, possiamo dire che per noi è pazzia, ma che ad un certo punto è diventata normalità in quanto coinvolge tutti. Quindi si, esiste una condizione di normalità dentro la pazzia.
Dopo questa digressione socio-culturale, tornando a parlare della normalità dei Bia Rama, tentiamo sempre di non normalizzare nessuna pazzia all’interno della nostra musica, altrimenti si ribalterebbero gli equilibri e cambierebbe sicuramente il nostro punto di vista e quello dell’ascoltatore. Se la pazzia diviene normale è definibile più come tale?

Che poi sinceramente, dal suono di questo disco non mi sarei attesa una copertina così colorata. Penso che niente sia fatto a caso vero?
Certo, l’illustrazione della copertina, quindi le forme ritratte e i colori scelti, non sono messi li a caso. Sicuramente, come avete fatto notare, non sembra una copertina che fa presagire il nostro sound, delle volte all’antitesi con la brillantezza e la gioia che certi colori possono far scaturire, parlando di sinestesia. Abbiamo scelto quei colori perché si riferiscono ad ognuna delle tre identità che formano il trio. Proprio per sottolineare che la vita di questo progetto è nata dall’incontro, dal dialogo e dall’unione di tre diverse individualità. È la particolarità che vorremmo ci identifichi, in qualche modo.