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Marziano Vicedomini: “Mancanza” e il potere visionario della parola


È disponibile in libreria e negli store digitali “Mancanza”, il nuovo libro di poesie di Marziano Vicedomini, pubblicato da La Corte Editore. Un titolo che è già una dichiarazione di intenti: non una semplice raccolta, ma un’indagine profonda su ciò che ci sfugge, ci abita, ci definisce.

Avvocato penalista e poeta, Vicedomini vive un doppio sguardo sulla realtà, che fonde rigore e libertà. Se in aula la parola è strategia, in poesia diventa rivelazione, ribellione, visione. Mancanza è un libro in cui la giustizia non è solo quella codificata nelle leggi, ma quella più intima e universale, legata all’esistenza, al senso, alla ricerca di sé.

Tra suggestioni mitologiche, visioni oniriche e un pensiero che attraversa i confini logici, l’autore ci accompagna in un viaggio emotivo che ha il coraggio di confrontarsi con il potere, la memoria, l’identità.

In questa intervista, Vicedomini racconta il legame tra scrittura e giustizia, il ruolo del mito, e il potere salvifico della poesia.

Sei un avvocato penalista, e parallelamente un poeta. Due mondi apparentemente distanti: la parola in aula come strumento di difesa, e quella poetica come strumento di rivelazione. Come convivono queste due anime nella tua scrittura?
L’avvocato ed il poeta in comune hanno solo la matrice umanistica e lo strumento d’espressione: la parola
Per il resto sono mondi totalmente diversi, dove la poesia contiene l’avvocatura.
La differenza tra le due anime è sostanziale, riguarda lo spazio e il tempo consentito  in cui si può sprigionare la creatività.
Nella poesia, invece, non c’è alcuna predeterminazione tematica, né vincoli di risultato.
Dal punto di vista spazio-temporale-tematico la poesia non ha confini.
L’unico confine spazio-temporale sei tu e la tua capacità creativa.
L’atto creativo sta nel cogliere e trasmettere attraverso la parola uno stato emotivo o una riflessione dal flusso totale e indefinito delle cose in cui si è immersi.
La poesia, per me, ha una logica “ a-logica”, direi inconscia, visionaria.
Le associazioni di pensiero, e quindi le parole, che emergono nell’atto creativo possono essere paragonate alla fase del sogno.
Un pensiero liberato da qualsiasi limite morale e  logico, dove si associano persone, cose e temi senza che abbiano un apparente senso e che mai si farebbero lucidamente nella dimensione conscia e logica. L’ispirazione è un momento di liberazione di un flusso di pensiero inconscio, di un sapere a te inconsapevole che si insinua nella lucidità del pensare logico.
L’atto creativo dell’avvocatura è, invece, tutto pensato e creato in una razionale e cinica convenienza di pensiero, condizionato sempre da ragioni di opportunità.
Possiamo dire con un’immagine simbolica enfatizzando che l’ avvocato crea per difendere i diritti dell’uomo, la poesia crea per conoscere e curare la sua umanità.

Mancanza è anche un percorso verso un’idea di giustizia – non quella dei tribunali, ma forse una più intima, filosofica, esistenziale. Che cos’è per te la giustizia nella poesia?
La poesia è essa stessa anche una forma di giustizia ideale, un atto di ribellione alle ingiustizie della vita reale.
Una sorta di compensazione ideale alle sofferenze della vita.
Il poeta è per definizione un contestatore, un ribelle, un sovvertitore dell’ordine morale precostituito, colui che predilige il vero al compromesso, che denuncia e prevede, come un sensitivo sociale, i mali dell’animo umano e di una comunità.
Vede oltre e prima.
Basti leggere e ascoltare alcune interviste di una grandissimo poeta quale è Pier Paolo Pasolini per rendersene conto.
Ha predetto ciò che attualmente stiamo vivendo.
Ma accade in genere agli artisti veri, dotati di una sensibilità e intelligenza superiore alla media, che hanno espresso nella loro forma una poetica preveggente, anchecon altri strumenti espressivi, diversi dalla parola, ma pur sempre anticipando gli eventi.
Il poeta, l’artista, vero ha il radar ed intercetta segnali ad altri ignoti.
Nella mia poesia, ovviamente con tutti i miei limiti, c’è sempre una ricerca di giustizia, quasi una sete di giustizia che non riesce a dissetarsi nella vita reale, come se fosse paladina dell’umanità e la poesia fosse l’avversaria più intransigente di quello che ritengo il più acerrimo nemico dell’umanità: il potere.
Diversamente, è solo un de-scrittore di belle immagini.

Nei tuoi testi si percepisce una tensione costante tra ciò che è stato taciuto e ciò che ora finalmente viene detto. Come scegli cosa lasciare in silenzio e cosa portare alla luce attraverso i versi?
Il mio istinto.
Non sono tanto convinto che sia proprio il mio “io” a scrivere e quindi a selezionare le parole dei pensieri e delle immagini che si creano nella mente.
Non c’è nulla di veramente razionale, salvo verificare la correttezza del verso ecc.
E’ un flusso di immagini e pensieri, in una cadenza musicale, che cerco di cogliere e tradurre in versi.
Benedetto Croce ha detto che “ l’intuizione è già espressione”, può essere che si riferisse a questo processo creativo, dove “l’opera” è già espressa dentro l’autore che ha l’unico compito di tra-scrivere la stessa sul foglio: portare da dentro fuori.

La mitologia attraversa alcune delle immagini del libro, come filtro per decifrare il presente. Che rapporto hai con il mito, e cosa ti offre in termini poetici e umani?
Il mito per me è un riferimento ideale, credo inconscio, come una religione.
Credo che la cultura occidentale sia intrisa di riferimenti mitologici, soprattutto quella greca, come, appunto, lo sono le varie religioni.
Siamo involucri riempiti di regole comportamentali, più o meno inconsapevoli.
Abbiamo la necessità di identificarci in qualcosa che ci rassicuri per acquisire un’identità che ci renda accettabili ed accettati.
La mitologia spesso è stata ed è un riferimento, sia pure enfatizzato, che incide nella nostra formazione. 
Faccio un esempio, grossolano, ma che rende l’idea.
Almeno fino alle nostre madri, ma ancora oggi impera in realtà sociali e culture arretrate, il primato del patriarcato, con tutte le conseguenze che spesso, purtroppo, caratterizzano i fatti di cronaca.
Ma Zeus non era egli stesso un padre padrone fedifrago ed Era la moglie sofferente e fedele?
Questo modello, non ha caratterizzato la nostra società fino a qualche decennio fa e non solo?
Nel nostro paese solo nel 1981 è stato abrogato il delitto d’onore.
Per questo credo che il mito, inteso come racconto dell’agire dell’uomo, non sia altro che la produzione/proiezione di un ideale dell’uomo, come per le religioni, che abitano la nostra psiche.
Ovviamente, chi non vede che replica comportamenti predefiniti, facendo vivere i comportamenti e non il vero se stesso,  vive in una fase definita “dormiente” chi lucidamente “vede” e capisce entra in una dimensione di consapevolezza. 

Se pensi al lettore che sfoglia Mancanza per la prima volta, quale immagine o verso vorresti che portasse con sé, anche dopo aver chiuso il libro?
Un gesto più che un verso, questo:
che lo chiudesse, insieme agli occhi, con un sorriso di conforto. 
Il verso scelto:

“Così scese dal tempo, 
uscì dal mondo
entrò nella sua pelle
si chiuse a chiave
la buttò a mare
aprì gli occhi
si vide e capiì,
finalmente,
che ciò che mancava 
era solo lui dentro di sé.”