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Intervista a Gaia Papadia per il singolo “Tutti Casi Umani”


Gaia Papadia presenta il suo nuovo singolo “Tutti Casi Umani”, un brano che unisce sonorità moderne e critiche sociali, esplorando le disillusioni dell'amore e della vita quotidiana. Con un ritmo travolgente e una melodia pop elettronica, il pezzo invita ad abbracciare l’imperfezione in un mondo che sembra volerci tutti "casi umani".

Il videoclip, realizzato con la regia di Cilo Eis, è simbolico e introspettivo, con una scenografia dominata dal buio e maschere bianche, che rappresentano le voci interiori. La danza e la fisicità, con coreografie tribali, amplificano il conflitto interiore espresso nella canzone.

Gaia, appassionata di cinema, si è attivamente coinvolta nella direzione del video, trovando una forte sintonia con il regista. Immagina il live del brano come un'esperienza visiva coinvolgente, con una componente rock e una versione acustica intima.

Il videoclip di “Tutti Casi Umani” è fortemente simbolico e suggestivo. Come è nato il concept visivo insieme a Cilo Eis?
Ho portato al regista le mie idee di massima e da lì abbiamo cominciato a tramutarle in colori, scene, inquadrature. Abbiamo studiato bene il testo, frase per frase, e soprattutto abbiamo ragionato molto su come rendere alcuni messaggi. Entrambi comunque eravamo d’accordo sul fatto che, trattandosi di una canzone molto introspettiva, io dovessi essere centrale nel racconto. 

La location nera, gli oggetti e le maschere bianche trasmettono un senso di inconscio e introspezione. Come hai scelto questi elementi e cosa rappresentano per te?
La volontà di avere una location nera c’è stata sin dall’inizio: la canzone nasce nel “buio”. Il buio dei propri loop, dei propri pensieri, di una autoanalisi anche eccessiva forse. Gli oggetti sono pochi ma fondamentali: lo specchio è un elemento al quale sono legata molto, per il significato che ha da sempre a livello simbolico, e sono anche un’amante dei giochi di specchi nelle riprese, nelle foto; la rosa e la lattina richiamano la copertina del singolo: un fiore che è sì in un contenitore, ma non il suo. La lattina non è il vaso. Il suo liquido non è acqua. Tutto sbagliato, insomma, come quando ci troviamo davanti alla persona sbagliata o nella situazione sbagliata. Le maschere bianche sono fondamentali perché quelle figure potrebbero essere chiunque, quindi tutti noi, anche noi stessi, parti del nostro inconscio, le nostre “vocine interiori”. 

Anche la fisicità ha un ruolo chiave, con coreografie tribali e tensione nei movimenti: cosa volevi comunicare attraverso il corpo e la danza?
La fisicità è fondamentale nel video, e talvolta anche disturbante per come rappresentata. La canzone ha sicuramente un tiro molto ballabile ma le performers non si sono solo comportate da ballerine bensì da “mimi”. Hanno interagito con me, alle volte facendomi il verso, alle volte seguendomi nei movimenti e nelle intenzioni, altre addirittura disturbando i miei tentativi di occupare lo spazio: attraverso il corpo si comunica ancora di più, e la comunicazione non verbale ci tradisce spesso. Volevo porre l’attenzione su questo, oltre che valorizzare un arrangiamento con elementi phonk, elettronici e tribali. 

Hai partecipato attivamente al soggetto e alla direzione del video. Quanto è importante per te controllare anche l’aspetto visivo della tua musica?
Quando ho già delle idee, quando visualizzo dei colori, quando la canzone nasce già con una forte immagine è importantissimo. Ma questo non succede sempre, tante volte si hanno delle idee ma affidandoti a dei professionisti nell’ambito del visuale accedi a possibilità che non immaginavi prima, e magari ti rendi conto che la tua idea forse non era nemmeno tanto forte.
In questo caso ad esempio tra me e il regista c’è stata una forte sintonia e complicità. Lui è entrato tanto nel racconto, e questo ha aiutato. C’è da dire che sono un’appassionata di cinema, e quindi mi diverto anche tanto nel co-dirigere la regia, mettere mano al montaggio, sono cose che sono abituata a fare perchè i miei primissimi videoclip li ho montati da sola.  

Immaginiamo che il live di “Tutti Casi Umani” possa diventare un’esperienza coinvolgente anche visivamente: come immagini di portarlo sul palco? 
Sicuramente non vorrei rinunciare alla componente del ballo. Porterei sul palco le maschere, elemento fondamentale e simbolico oramai del brano. Mi piacerebbe giocare anche su un arrangiamento un po’ più rock, suonato, perché no: sento forte questa attitudine spinta del brano. In una sua versione acustica, invece, voce e pianoforte. Raccontato, dritto al punto.