Default Image

Months format

Show More Text

Load More

Related Posts Widget

Article Navigation

Contact Us Form

Breaking News

Roberto Sarno: il suono anni ’90 della sua solitudine


Primo disco personale potremmo dire di questo “Prova Zero” di Roberto Sarno. “Personale per la prima volta” in tantissimi sensi, di sicuro estetico ma anche spirituale. Il cantautore e musicista toscano riprende dal suo passato i suoi brani più importanti e li riveste - forse qui per la prima volta - delle autentiche sensazioni e delle visioni che oggi riguardano il modo di essere e di vivere di Roberto Sarno. Un disco intimo realizzato in duo con Marco Mafucci che ridisegna il suono e gli arrangiamenti delle canzoni della sua carriera, lasciando spazio al silenzio e al minimalismo, tra radici acustiche e derive digitali di grandissimo gusto. “Prova Zero”, pubblicato dalla RadiciMusic sembra è essere un disco di arrivo e non di passaggio, un esistere senza abusi e senza ridondanze… parola questa che spesso troveremo nella bella critica che ha accolto il disco. A seguire il video di lancio del singolo “Il tempo che brucia sull’asfalto”: anche in questo caso, una scelta artistica casalinga, lo-fi, restituisce al disco una completezza e un corollario d’autore che ci aspettavamo. Imprevedibile invece l’unica cover nella tracklist: parliamo di “Abbiamo vinto un’altra guerra”, canzone di Motta che troviamo nel suo disco d’esordio.

“Prove Zero”. Eppure sono canzoni del tuo passato. Che “inizio” rappresenta per te questo lavoro?
Prova Zero è l’esito di una ricerca lunga e profonda. Volevo trovare un mood caratteriale e uno stile che potessero svilupparsi in futuro, per dei lavori successivi.
Essere consapevoli della propria estrazione è un vantaggio, l’importate è non farne un limite. Credo che oggi sia difficile abbracciare il proprio spazio e raccontarlo scegliendo dei percorsi alternativi e concreti, ci si riesce solo con un grande equilibrio. Mantenere questa stabilità è l’esercizio che adesso mi trovo ad affrontare; comporre nuove cose senza copiare me stesso, sentendo la spinta ad andare oltre.

Bellissima la grafica di copertina. Inquietante a tratti… una chiave di lettura?
Desideravo che fossero delle immagini astratte a rappresentare il contenuto; in estrema antitesi verso il lavoro precedente. Ho chiesto a Francesco Camporeale di interpretare in piena libertà la musica con le proprie immagini; è una persona creativa e infatti ha colto l’idea e l’ha sviluppata coerentemente.
Rispecchia l’evanescenza delle cose, i ricordi che affollano rarefatti la mente. Ognuna delle nove immagini della copertina rispecchia il pensiero dei brani del disco; Motta è escluso naturalmente.

Canzoni urbane, notturne, le ho trovate figlie della provincia. Sei un artista molto legato all’immagine di provincia anni ’90 o sbaglio?
Sono cresciuto e vivo in una piccola città, la dimensione urbana delle metropoli l’ho vissuta solo per dinamiche di lavoro o di cultura. Mi piace la provincia, mi ci trovo a mio agio; anche se più che le persone mi piacciono gli spazi.

Arezzo Che Spacca, la Toscana in generale… quanto tutto questo ha influito dentro la tua canzone?
La realtà di Arezzo ha sicuramente contribuito a formare la mia cultura musicale. Fino dal principio il contatto con le Radio locali (es. Radio Torre Petrarca, Radio Wave, Radio Fly) e gli amici che le hanno tenute in piedi da sempre, i festival di risonanza internazionale (Arezzo Wave, Play Art, Mengo), il riferimento culturale del negozio di dischi nel centro della città (Vieri Dischi), un punto d’incontro per gli appassionati e i musicisti, l’aria che si respira tra Guido d’Arezzo,  il Liceo Musicale e i moltissimi giovani che si aggregano per la musica. Band note come i Negrita o etichette discografiche più o meno affermate (es. Woodworm, Radici Music Records).

Ed è così che arriva l’omaggio a Motta? La sua toscanità in qualche modo la senti, ti appartiene?
In realtà Motta mi ha colpito proprio perché le sonorità abbracciano qualcosa di più ampio. È vero che la costa Toscana esce fuori, ma non rimane lì. Si sente anche Roma, l’asfalto e i palazzi, la gente.

A chiudere: di tutto il tuo passato, come hai scelto proprio queste canzoni?
Erano quelle canzoni che volevo fissare nel tempo, desideravo dedicare a loro una maggiore attenzione rispetto al passato e dare a loro una forma che fosse dal mio punto di vista più congeniale.
Nel progetto c’erano anche altri brani, ma alla fine li ho esclusi per sigillare una maggiore coerenza tra tutto il lavoro.