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Francesco Lattanzi: non alla morte ma alla vita


Un disco che non possiamo certamente confinare dietro qualche riga di un articolo. Ci prova lui a sorvolare dall’alto con bellissime risposte ricche di contenuto. Tuttavia “Alla morte” porta con se il dono del tempo, della parola, il mestiere di un cantautore che non è schiavo del futuro e dell’estetica e non è affatto dipendente dal passato. Un disco che parla di storia, di uomini e di mondo, dal romanticismo sociale alla filosofia della bellezza. E poi la guerra come fosse un sottofondo in bianco e nero. E poi il bellissimo video girato dal regista bielorusso Dmitrij Dedok per il singolo “Gli angeli di Horlivka”. Niente di nuovo ma tutto di unico.

Bellissimo questo disco ufficiale. Questa storia che quasi sembra avere i connotati di una leggenda. Come ci arrivi?
Grazie per l’apprezzamento. Ci arrivo dopo dieci anni dal primo disco “Turno di notte”. Sono una enormità lo so. Ma un po’ perché questo è il mio modo di lavorare. Detesto che mi si metta fretta. Ho scritto canzoni, anche nel primo disco, che hanno richiesto anni per vedere la luce. E poi c’è stata la pandemia di mezzo, ma anche tante riflessioni su ciò che andava fatto e come andava fatto. Abbiamo veramente cercato di curarlo nei dettagli questo album. Lo abbiamo rimaneggiato, cambiato gli arrangiamenti rispetto alla prima stesura, inciso la voce due volte. Insomma. Per rispondere alla domanda ci sono arrivato...stanco (Ride).

Risvolti di vita privata dentro un disco simile? Che poi sembra molto parlare di politica, in senso alto e romantico della parola… non trovi?
Era inevitabile che dieci anni di riflessioni (anche se diverse canzoni erano nate anche precedentemente al disco d’esordio) mi portassero a proporre tutto quello che andavo maturando durante questo percorso, sia in termini di studio, che in termini di esperienza vissuta. E senza voler far passare questo come un giudizio personale su me stesso o su questo stesso percorso, però, sì tra il primo e il secondo lavoro, anche io mi sono reso conto di una certa maturazione artistica. Frutto del lavoro quotidiano, non certo delle mie capacità. Quelle deve giudicarle la critica e ancor di più la storia. Se determiniamo la politica, in un senso romantico, come la definite voi, sono in pieno accordo. Se diamo a questa parola il significato classico, no. Ed è una questione che ho fatto notare anche in altre interviste. Questo disco parla innanzitutto di società e di relazioni sociali, viste, spesso, attraverso la lente di storie vere, di fatti reali. In questo senso l’aspetto sociale, l’interazione tra le persone, è il soggetto principale del quadro, la politica, in senso stretto, costituisce solo uno dei dettagli sullo sfondo. 

 
Posso chiederti della copertina? Un collage grafico assai industriale in qualche modo. Sintetico… moderno… non somiglia a questo disco, vero?
La copertina è stata realizzata da Ilaria Benedetti, mia concittadina che ormai da anni vive e lavora a Barcellona. Siamo nati a poche ore di distanza l’uno dall’altra, forse in quel determinato giorno mese e anno, era destino che nascessero solo artisti (Ride di nuovo).  Abbiamo frequentato le scuole medie assieme a Tivoli. Già a quell’età mostrava un talento per l’arte figurativa. Appena ho visto quel suo disegno, ho capito che rappresentava un po’ il messaggio del disco. Un mappamondo a forma di gelato che si scioglie, riflette la decadenza morale della società in cui interagiamo, la morte dei valori di questa società, da qui il titolo “Alla morte”

E invece i suoni? Li peschi da quale esperienza di vita? Che vita raccontano i suoni di questo tuo lavoro?
È un’altra domanda che mi hanno fatto praticamente tutti. Segno che pure qui abbiamo colto nel segno. Proprio perché è un aspetto che non è passato inosservato ed ha incuriosito praticamente ogni intervistatore/critico musicale. E in fondo mi fa piacere, perché questa dei suoni, è la questione su cui di più abbiamo dibattuto con Gianni Ferretti e Andrea Mattei, gli arrangiatori di questo lavoro. E ci siamo trovati d’accordo su un punto fondamentale: questi testi, queste storie, non avevano bisogno di suoni spaziali, o di ricerca (come spesso si usa dire). I testi di questi brani, legati alla forma classica della poesia italiana, necessitavano di un accompagnamento e nulla più. Vi rivelo una piccola storia nella storia, Il disco è stato ascoltato dall’arrangiatore e collaboratore di un notissimo cantautore contemporaneo. Anche lui è rimasto folgorato dalle canzoni, e mi ha proposto di mettere il progetto nelle sue mani per rifare daccapo tutti gli arrangiamenti, che secondo lui non funzionavano. Ringraziandolo, ho declinato l’invito. Secondo molti, con arrangiamenti più moderni, questo album avrebbe funzionato meglio, ma il punto è proprio questo, io non mi sento omologabile a qualcun altro o a qualcos’altro. Utilizzare suoni moderni, solo perché bisogna strizzare l’occhio al mercato? Anche no. Arrangiamenti più elaborati non avrebbero fatto marciare con più forza queste dieci canzoni, anzi molto probabilmente avrebbero snaturato l’intero progetto. Alla macchina, per farla partire, basta una spinta, a che pro continuare a spingere quando l’auto è partita e va già da sola ?