Nella società moderna, sempre più orientata verso la finzione e distante dalle nevrosi dei like e delle visualizzazioni, l'artista Fabrizio Scrivano emerge come una figura che trova spazio per esprimere la sua autenticità attraverso la musica. Attraverso un set di composizioni originali, Scrivano ci conduce in un avventuroso viaggio nell'improvvisazione e nell'esplorazione strumentale, lontano dalle convenzioni della realtà digitalizzata.
Ciao,
benvenuto sulle pagine di Cherry Press! Prima di tutto parliamo un po’ di te.
Come ti sei avvicinato alla musica?
Alla musica mi sono avvicinato da bambino, Il
mio bisnonno da parte paterna era un pianista, tutti i suoi nipoti, quindi miei zii, sono musicisti classici e molti di
loro sono docenti di strumento in vari conservatori. Da bambino, credo fra i 5
e i 6 anni presi le mie prime lezioni di musica, ma all’epoca la didattica era
diversa, per mesi si studiava il solfeggio e di suonare nemmeno l’ombra e mi
allontanai. La passione vera e propria è nata in terza media quando una docente
di musica, di cui non ricordo né il nome e né il viso (ormai sono passati
troppi anni!) ci fece portare gli strumenti a scuola, io avevo una chitarra ¾.
Alla fine della scuola media avevo già la mia prima band, ringrazio ancora
quella docente che con poco fece innamorare un ragazzino della chitarra e della
musica.
Quali
artisti hanno influenzato maggiormente il tuo stile?
Noi
siamo quello che mangiamo, mi ricordo questa frase dal periodo dell’università
in uno dei vari corsi che seguivo. Io mi sono cibato di musica da quando ero
bambino, i miei zii, come dicevo prima, sono tutti musicisti classici e quando
si esercitavano o facevano delle lezioni la musica riempiva il quartiere.
Quando ho iniziato a suonare ero, e lo sono ancora ora, un grande appassionato
di rock. Il mio primo grande amore furono i Pink Floyd, studiavo per ore il
suono e gli assolo di Gilmour dal quale credo di aver rubacchiato un po'.
Non
c’era internet e con i miei amici si ci trovava in casa per ascoltare dischi o
per ordinarli via posta. Ricordo che arrivava ogni mese il catalogo Nannucci e
noi ci riunivamo per comperare di tutto. In una occasione comperai due
audiocassette di Pat Metheny, Works e Works II, da allora Metheny è stato parte
integrante del mio mangiare. Da lui sono passato ad ascoltare i pilastri del
jazz: Parker, Coltrane, Davis, Evans, Mingus, Monk, da ognuno di loro ho preso
qualcosa, ma non solo. Sono convinto che la musica sia uno scambio una
condivisione, sono convinto che anche le persone con cui ho suonato con cui ho
studiato mi abbiano influenzato, mi viene da pensare alle giornate passate con
Alfonso Santimone il quale mi ha spronato a fare delle cose diverse dalla mia
confort-zone, o Gabriele Rampi che ogni volta mi sprona a fare cose nuove e mi
bacchetta sulla precisione. Ognuno di queste persone e molte altre hanno
influenzato il mio stile e spero di incontrarne altre per poter crescere e
cambiare.
Come
nascono le tue canzoni?
Le mie composizioni nascono in modo diverso o meglio
l’ispirazione nasce da qualcosa di diverso, un luogo, un incontro; mi viene in
mente una scena “della leggenda del pianista sull’oceano” quando Novecento
suona le persone: “La vedi quella signora
seduta laggiù deve essere tedesca…guardala…non sembra una che ha ucciso il
marito con la complicità del giovane amante e sta fuggendo con tutta
l'eredità…questa musica non le somiglia? E lo vedi quello li? Sembra uno che ha
troppi ricordi, la testa gli scoppia e non riesce a dimenticare niente…questa è
la sua musica…”, bhe anche io suono le persone: molte volte le
mie composizioni si riferiscono ad amici, a persone che mi hanno dato un
qualcosa anche solo per un attimo, oppure a luoghi che ho visitato, che mi
mancano, che vorrei vedere. L’unica cosa certa che posso dirti è il posto dove queste
composizioni nascono che è sempre uguale, cioè il divano.
Puoi
raccontarci com’è nato il tuo nuovo album?
Erano
più di tre anni che volevo registrare questo lavoro. Il primo che ho assoldato
per la realizzazione è stato Gabriele Rampi, gli mandavo i brani e lui mi
diceva le sue impressioni, poi andavo a casa sua e li suonavamo per vedere se
si poteva migliorare qualcosa. Nell’inverno del 2022 abbiamo fatto una serata
in duo con i miei brani e la risposta è stata ottima. Chiesi invece a Riccardo Biancoli
di partecipare ad un mio lavoro molti anni prima e lui accettò, quando gli ho
sottoposto i brani ha subito dato il suo indispensabile contributo. Abbiamo
iniziato a provare e ad ogni prova usciva una diversa idea che veniva
registrata e raffinata per la prova successiva. L’ingresso di Jerry è avvenuto
per ultimo, suonavo con lui nel suon quartetto veronese insieme a Nicola Monti
al contrabbasso e Oreste Soldano alla batteria, gli ho proposto di suonare nel
mio disco ed ha subito accettato, poi siamo andati tutti a cena e da li è nata
una grande amicizia.
C’è
un filo conduttore che lega le tracce del disco?
Si,
tutto l’album è un filo conduttore. Io sono calabrese ma vivo da ormai sedici
anni a Mantova e “Terra di mezzo” è la mia condizione mentale. Come dicevo
prima, le mie composizioni descrivono luoghi o persone e in questo album ci
suono luoghi e persone che fanno parte della mia vita da calabrese “emigrante”,
come diceva Troisi a Lello Arena in “Ricomincio da tre”. Orso Bruno sono io, o
meglio è il soprannome che mi misero da bambino in paese. Poii è il nome con
cui mia figlia chiamava uno dei miei più cari amici di mantovani, Emanuele
Poletti, Jermanu è una località della Sila, Bea è la ninna nanna che ho
dedicato a mia figlia che è nata a Mantova. Il filo conduttore credo che siano
gli ultimi sedici anni della mia vita.
Grazie
per la disponibilità. Lascio a te qualche riga per lanciare un messaggio ai
lettori di Cherry Press!
L’unica
cosa che mi sento di dire ai lettori e quello di ascoltare musica nuova, quella
che non passa neanche per radio perché molte volte si trova qualcosa di davvero
interessate. Andare ad ascoltare musica dal vivo, di qualsiasi genere, dove
vengono proposte cose nuove. Quando si ascolta qualcosa non si sta ascoltando
un brano, ma la vita, l’esperienza di chi ha composto. Si possono scoprire cose
meravigliose che molte volte non avrebbero spazio se non ci fossero blog come Cherry
Press!