Come hai costruito l’arrangiamento per evocare inquietudine e urgenza?
“Butto la plastica” parla una ragazza che dopo una notte disastrosa con l’ex fa pulizia …in tutti i sensi. Per l'arrangiamento ho lavorato sui contrasti: una base lenta, che ti abbraccia e sotto un basso synth battente, a sedicesimi. Un grande classico dell’elettronica. Nella prima strofa con la cassa dritta, entrano anche dei cori analogici alti e stranianti — tipo le sigle TV quando parlano di UFO.
Nel ritornello “io rivendico il mare”, proprio a sottolineare l’urgenza c’è una singola nota che torna come un allarme, un synth da rave che non ti molla.
Però, sai, l’armatura elettronica è solo il vestito: la vera magia sta nella canzone. Quel giro armonico e quella melodia. La “canzone” è un organismo vivo, puoi vestirla d’arpa o di distorsione, con i jeans o con lo smoking, ma se non pulsa di personalità è nulla.
Il ritmo lento ma tagliente è frutto di quale ricerca sonora?
“Lento ma… violento!”, come diceva #Albertino qualche tempo fa, ahah. Lo dice ancora? :-)
Avevo voglia di qualcosa di meno veloce dei brani che ho fatto per l’ultimo progetto, qualcosa che ti avvolgesse e ti spaccasse al contempo.
Così mi sono messo a sperimentare e ho scelto gli 87 Battiti per minuto perché è la frequenza giusta che ti ipnotizza, è tipo il cuore a riposo ma con un brividino in più. Ti rallenta il respiro, ma ti ricorda che sei vivo. Proprio come accade alla protagonista del brano.
Il Korg M1 è solo un simbolo nel video o anche parte della produzione musicale?
L’amore mio, synth leggendario. Il mio risale a oltre trent’anni fa: insieme ne abbiamo fatte di cotte e di crude. La performance in mare per il videoclip di “Butto la plastica” (https://youtu.be/4ENXjGbqhxA) è solo l’ultima follia di un lungo sodalizio.
Appena hanno visto il synth a pelo d’acqua, alcuni amici mi hanno scritto preoccupati :-) State tranquilli è ancora vivo :-)
E’ suo il suono che sentite dialogare con la voce nella seconda strofa. Ho usato il classico patch “Dual Oscillator” con un oscillatore appena stonato, un trucco che non passa mai di moda.
A proposito di Korg, nel brano c’è anche lo storico MS-20. La “chitarrona” quasi rockabilly che sentite nel ritornello, ecco - difficile a credersi - ma è lui.
Hai lavorato da solo sul brano o con altri produttori?
Questo è il quinto singolo del progetto “Canzoni contro le (stronze) leggi del cosmo”. In questo ho suonato tutto io, ma negli altri si sono avvicendati diversi musicisti. Alcune volte mi capita di collaborare con altri produttori ma in generale, l’arrangiamento e la produzione, così come la scrittura, li faccio in solitudine. E’ anche vero che passa sempre un sacco di gente: dj, cantautori, attori, parenti di ogni grado, ballerini, adolescenti, dog sitters, pensionati.. e ognuno butta lì il suo feedback. Alla fine la decisione è mia — per il bene e, a volte, per il male — ma quel pizzico di coralità è vitale.
Invece mix e master li faccio in studio insieme a qualche ing. del suono fuoriclasse, in questo caso Salvo Carducci, con il quale abbiamo fatto anche “Amore quantico”. Bravissimo.
Tra l’altro, mentre lavoravamo su “Butto la plastica”, Salvo stava anche mixando il nuovo album dei Christine Plays Viola, in uscita a breve. Sono miei conterranei, pur essendo una realtà internazionale. Musicalmente siamo lontanucci — loro fanno darkwave/gothic — ma proprio per questo trovo affascinante lasciarmi contaminare, anche solo a livello di sound generale.
L’elettropop è il genere più adatto a raccontare la distopia quotidiana? Perché?
L’elettro-pop ha il vantaggio di rispettare la forma “canzone” più classica — strofa, ritornello, bridge — e al contempo vestirla di suoni artificiali, futuribili, ormai retro‑futuribili: sintetizzatori, drum machine, sequencer, campionatori e così magari farti anche ballare.
Quindi potrebbe essere il linguaggio giusto per un concept di ribellione come “Canzoni contro le (stronze) leggi del cosmo” nel quale troviamo anche questo singolo. Ma sinceramente non mi va di rinchiudermi in un genere musicale. E questa è una minaccia :-)
Poi, a dire il vero, non amo molto la parola “distopia”. Preferisco pensare a quello che il mio amico giornalista Maurizio Di Fazio ha battezzato come “epica del quotidiano”: un modo per trasformare momenti di ogni giorno in racconti siderali, dove persino il gesto più ordinario —in questo caso buttare la plastica— trascende.
E’ stato bello, se vi va ci vediamo su instagram: @ArnaldoFurioso