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Miccoli pubblica "Brucia il vento": l’artista e la responsabilità del racconto


C’è una linea chiara che unisce le recenti produzioni di Giuseppe Miccoli, e Brucia il vento ne è un nuovo esempio coerente. Il brano si presenta fin da subito come una dichiarazione d’intenti: non vuole rassicurare, né offrire risposte semplici, ma sollevare questioni. A partire dalla scelta tematica – la guerra, l’ingiustizia, la costruzione del potere – Miccoli opta per una canzone che non intrattiene, ma interpella. 

Il linguaggio è secco, il ritmo controllato. Ogni verso sembra scritto con attenzione più al senso che alla musicalità. È una scrittura che lavora sulla precisione semantica, evitando qualsiasi tipo di concessione emotiva. In un periodo in cui la comunicazione tende a esasperare ogni contenuto, Brucia il vento propone un modello alternativo: pacato, ma non per questo meno incisivo. 

Il brano è prodotto da Guido Guglielminetti, figura di riferimento della scena musicale italiana, con cui Miccoli ha già instaurato un rapporto artistico consolidato. L’apporto di Carlo Gaudiello al pianoforte contribuisce in modo determinante all’equilibrio del pezzo, che si sviluppa in un crescendo calibrato, mai ridondante. 

Oltre alla versione audio, Brucia il vento è accompagnato da un videoclip realizzato dallo stesso autore, ulteriore segno del controllo che Miccoli mantiene su ogni aspetto del suo lavoro. L’impressione è quella di un progetto in cui forma e contenuto procedono allineati. 

“Brucia il vento” affronta tematiche che raramente trovano spazio nella musica mainstream. Ti aspettavi reazioni forti? 
Non ho scritto pensando a una reazione, che doveva arrivare in modo improvviso. Ho scritto per necessità, per mettere in parole e suoni un disagio che sentivo urgente. Il fatto che abbia colpito nel profondo alcune persone mi ha confermato che c’è ancora spazio per un ascolto più profondo, anche se spesso il mainstream lo ignora. La guerra di Piero o Khorakhanè di Fabrizio De André, o ancora Spad VII S2489 di Guido Guglielminetti o anche Generale, Vento dal Nulla o Pilota di Guerra di Francesco De Gregori, sono comunque canzoni scomode ma ancora vive. Se anche oggi toccano nervi scoperti, vuol dire che sono ancora indispensabili. 

C’è una forte componente visiva nel tuo modo di scrivere. Quanto conta l’immaginazione nel tuo processo creativo? 
Conta moltissimo. Quando scrivo, vedo immagini o sento suoni prima ancora di trovare le parole giuste. Sono scene, dettagli, visioni e sonorità quasi cinematografiche. Per me ogni verso deve contenere un’immagine che resti, che si attacchi alla pelle. L’immaginazione sta in mezzo: tra la terra concreta della realtà e il fiume liquido dell’intuizione. 

Il videoclip del brano aggiunge ulteriore potenza al messaggio. Come è nata l’idea di curarne direttamente il montaggio? 
Come dice una mia amica, l’importante non è vincere nemmeno partecipare, ma è divertirsi. Molte riprese le ho realizzate insieme ai miei figli Alessandro e Francesco per puro divertimento tra Torre Borraco e Torre Colimena vicino Manduria, luoghi segnati dal tempo, come la casamatta abbandonata di Specchiarica. Il montaggio, in un secondo momento, ha permesso di costruire un racconto visivo personale, senza filtri, senza compromessi. In questo video mi è piaciuto mettere in evidenza la forma circolare, quella della casamatta metafora della guerra passata con quella giostra, dell’ombrello che gira, delle scale a chiocciola, che sono per me al contrario simbolo di vita.

   


Il brano mostra una tensione tra denuncia e speranza. Hai voluto lasciare uno spiraglio di luce? 
Sì, sempre. Anche nella denuncia più dura, c’è uno spazio per la possibilità, dobbiamo opporci al male. La voce che canta è ancora viva, e questo per me è già speranza. La memoria può ferire, ma anche salvarci se ci aiuta a capire, a non ripetere. 

Quanto è stato importante per te collaborare con musicisti che condividessero il tuo approccio espressivo? 
Guido Guglielminetti, con il suo tocco e con il suo basso apre per me gli abissi, è anche il mio produttore musicale con cui ci divertiamo moltissimo, e insieme al pianista multicolore Carlo Gaudiello, non hanno solo eseguito, hanno ascoltato, interiorizzato e restituito. La mia gratitudine per questo motivo è profonda. Quando sono con loro, il tempo vola. Lavorare con chi comprende la direzione emotiva di un brano fa la differenza. 

Quale ruolo pensi possa avere oggi la musica nel raccontare la complessità del mondo? 
La musica può ancora essere uno strumento potente di consapevolezza ma servono politiche economiche che vanno in direzione contraria alla guerra “a tutti i costi”. In questa epoca un po’ volgare e distratta, dobbiamo aumentare la ricerca musicale e allargare il nostro panorama sentimentale ed emozionale. L’intelligenza artificiale ci può aiutare, certo, ma dobbiamo essere noi a indicare la strada giusta da percorrere.