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La “solitudine creativa” nel disco “Arset” di Gabriele Montagano


E’ disponibile dal 26 maggio 2022 su tutti i migliori digital stores nazionali e internazionali il disco Arset di Gabriele Montagano uscito per Musica Presente Records.

Con lo stra-ordinario lavoro Arset di Gabriele Montagano proseguono le incisioni di Musica Presente Records alla ricerca di esperienze sonore che sondano le profondità del nostro Essere. 
Così scrive Renzo Cresti direttore dell’Etichetta. 

La sapienza formale e la perizia tecnica sono aspetti necessari a una buona composizione ma non sufficienti perché la tecnica deve vibrare di vita vissuta e la forma deve dare un senso filosofico alle domande sull’esistere. Ecco perché il lavoro di Montagano è stra-ordinario, va ben oltre l’omologazione che attanaglia il mondo della musica o per meglio dire sta al di qua della solita musica ordinaria, massificata, banalizzata, scontata nel suo essere funzionale al mercato. Da questo punto di vista i lavori targati Musica Presente Records sono tutti eccezionali ossia costituiscono un’eccezione all’insignificanza generalizzata, ricercando musiche o meglio suoni che esprimono un messaggio di verità.


Oggi si fa un gran parlare di comunicazione ma siamo dentro all’occhio del ciclone e nessun messaggio (musicale) ci tocca veramente, al contrario Arset è un lavoro che scuote, un’esperienza sonora che ci turba e non può lasciarci indifferenti. Riesce a commuoverci col silenzio rotto da squarci sonori violenti. Non è un silenzio vuoto, è il silenzio di un’attesa, genera apprensione finché il suono sopraggiunge e sconquassa. È un lavoro che brucia, ‘arset’ significa bruciato e diventato polvere, cenere che si fa alito di vita. Suono che viene scarnificato e ridotto a un respiro affannoso.

Arset acuisce il nostro ascolto con piccoli movimenti che avvengono all’interno di una sostanziale immobilità. Una cellula sonora che vagabonda realizzando infine una forma, dai confini incerti, dagli equilibri sospesi trovati ma non cercati. Ci si affida al fluire silenzioso dell’esistenza, fra cadute dolorose e utopie di rinascita, fra pulsioni di morte e spinte vitali, con una partecipazione affettiva che solo apparentemente pare distaccata, in realtà emerge un coinvolgimento infuocato. 

Candore, autenticità e solitudine, questo esprime Montagano: una ‘semplice’ genuinità in quello che pensa e fa, una sincerità di fondo che si percepisce e ci commuove, isolandosi dai rumori di un mondo dove la musica è mera merce, nell’emarginazione della solitudine creativa.

Il lavoro prende il via da un brano del 1987 che ha accompagnato l’Autore per ben 33 anni, muto compagno di viaggio, finché non ha iniziato a farsi suono. È per pianoforte preparato, flauto e dissipazione elettronica; composto di cinque parti che sono come cinque lunghi respiri che trovano la loro matrice e continuità in una cellula sonora dissolta ad ogni respiro. “La vita è una degenerazione del respiro.” – dice l’autore – “Per continuare ad esistere il corpo deve degenerarsi e così il suono. Resta perdendosi. Il suono come la vita è uno scarto inteso come ciò che resta del mutamento, la traccia dell’essere stato vita, essere stato suono”. Parole che esprimono bene la poetica di Montagano che in Arset esplode in un silenzio composto, che “inquieta per la verità che esprime”. Ed è proprio la verità, sempre parziale e sempre in bilico, quella scritta con la minuscola, che siamo alla ricerca, per ridare dignità alla musica, per lasciarci guidare da un suono verticale che scandaglia l’esistenza come un’autoanalisi, per dare un senso (sonoro) alla vita.

Gabriele Montagano, Note per Arset
Trovo la scrittura come un lavoro politico, sociale. 
Ascoltare, accogliere, risuonare, restituire, dare voce, sono le declinazioni della vita... C’è un momento in cui il suono è diventato la mia vita. Un preciso istante, l’incontro con quello che non sapevo di essere stato.
I suoni sono come la vita. Doni inaspettati che mi attraversano con una propria identità. Non esistono perché ascoltati. Li incontro se disponibile all’ascolto. Non sono la forma delle mie emozioni. Mi accompagnano come la vita stessa. Quello che mi interessa è l’attenzione minima alle cose, alla sostanza dell’esistenza stessa. E così della musica non mi ha mai attratto la costruzione, l’architettura delle voci, il dispositivo della forma che contiene il linguaggio, quanto piuttosto il suono, il respiro, la grana della voce, la concentrazione sul singolo suono.
Ho dato vita ad un mondo di silenzi pieno di suoni che mi inseguono, mi braccano e mi rendono inerme per il troppo esistere. Credo il suono come un lungo apprendistato al silenzio, una intermittenza dolorosa per sentire il mondo. Per dire. Il mio sforzo è condensare la massa sonora in una realizzazione minima per annullare le ridondanze. Sono attratto dal processo di dissoluzione della forma e della sottrazione di materia-materiale. Ma al silenzio non si arriva attraverso l’uso della pausa o di fugaci suoni sottilissimi. Io sento la necessità di tagliare, rendere agile ed essenziale la comunicazione scegliendo la strada del suono intenso, lungo, soffiato, come un cenno sulla soglia del linguaggio.
Lavorare dentro il singolo suono è un atto sovversivo.