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Lande: il silenzio, gli errori e la forza di Mantra


Con Mantra, i Lande esplorano l’incontro tra elettronica e fragilità umana. Il singolo nasce da un equilibrio delicato: strumenti antichi come l’armonium convivono con synth, campionamenti e suoni digitali, creando un’atmosfera rituale ma al tempo stesso intima.

La band lavora in una zona ibrida, dove l’imperfezione diventa un valore e il silenzio un elemento compositivo. Ogni dettaglio – persino gli errori lasciati nel mix – contribuisce a dare al brano un respiro vivo, lontano dalla sterilità tecnologica. Mantra è così: un loop che pulsa, una ripetizione che non diventa mai meccanica, un suono che racconta chi lo abita.

Avete parlato di armonium, synth e campionamenti: qual è stato lo strumento più sorprendente da usare in “Mantra”?
L’armonium è stato lo strumento più sorprendente. Ha una fragilità intrinseca, un respiro irregolare che non puoi controllare del tutto. Quando l’abbiamo registrato, ci siamo accorti che aggiungeva una vibrazione quasi rituale, come se il suono avesse un’oscillazione emotiva propria. Non era previsto come elemento centrale, ma è diventato uno dei simboli del brano: una voce antica dentro un contesto elettronico moderno.

Lavorate più “in the box” o preferite un approccio ibrido tra digitale e analogico?
Usiamo un approccio ibrido, perché ci permette di non rimanere intrappolati in una singola logica di lavoro. Il digitale ci offre velocità, precisione e sperimentazione continua; l’analogico introduce imprevisti, materia, limiti che diventano creativi. Ci piace che le due dimensioni si contaminino: una linea nasce “in the box”, ma poi la facciamo passare in strumenti fisici o in catene analogiche per darle una tridimensionalità che non riusciremmo a ottenere solo al computer.

Come riuscite a mantenere calore umano in un sound così elettronico?
Il calore umano non lo affidiamo alla tecnologia: viene dalle nostre scelte interpretative. Lasciamo micro-variazioni, respiri, errori controllati, tutte quelle piccole instabilità che rendono vivo un suono. Usiamo molto anche campionamenti imperfetti, field recordings e strumenti che si muovono leggermente fuori tempo. L’elettronica per noi non è sterilità, è un telaio; il calore nasce da come lo abitiamo.

Quanto è importante per voi il silenzio nella costruzione dei vostri brani?
Il silenzio è fondamentale. È lo spazio in cui il suono prende forma, ma anche quello in cui capiamo se un’idea funziona davvero. Usiamo il silenzio come elemento compositivo, non come assenza: crea tensione, definisce le distanze, fa respirare il brano. Se una parte non regge nel silenzio, significa che non ha abbastanza senso. È un modo per ascoltare la musica nella sua vulnerabilità.

C’è un errore sonoro o un’imperfezione che avete deciso di lasciare di proposito nel mix?
Sì, ci sono un paio di campionamenti che oscillano leggermente in pitch e in timing. In un primo momento pensavamo di sistemarli, poi ci siamo accorti che quella micro-instabilità era precisamente ciò che dava al brano il suo carattere “umano dentro il rituale”. L’errore è diventato parte dell’identità di Mantra: una piccola incrinatura che impedisce alla ripetizione di diventare meccanica.