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Mario Bonanno e "La buona novella di Fabrizio De André", 50 anni dopo


"Il Gesù di De Andrè non viene dalle stelle. Con molta probabilità è anzi il frutto della passione segreta di Maria per un giovane (un novizio, un garzone o chissà)..." 
Queste le parole di Mario Bonanno autore del libro "Non avrai altro Dio all'infuori di me/spesso mi ha fatto pensare"

".. È un libro documentaristico e poco apologetico, concentrato soprattutto sul taglio politico...",  spiega Bonanno durante la sua intervista, poi continua: "Fabrizio De Andrè era un uomo che sfuggiva alla messa  a fuoco: sempre un po’ più in là da dove ti aspettavi di trovarlo. Come sarebbe Dio per i comuni mortali, semmai esistesse."

Ecco a voi la nostra chiacchierata. Buona lettura. 

50 anni dopo la pubblicazione del disco "La buona novella" di Fabrizio De André, Mario Bonanno arriva con il suo libro "Non avrai altro Dio all'infuori di me/spesso mi ha fatto pensare" edito da Stampa Alternativa.  Senza svelare troppo ai nostri lettori cosa puoi anticipare in merito?
Rispetto alla copiosa bibliografia che circola su De Andrè, “Non avrai altro Dio…” è un libro documentaristico e poco apologetico, concentrato soprattutto sul taglio politico assunto dalla Buona novella negli anni politici per antonomasia nei quali il disco è stato concepito e poi pubblicato. Mi riferisco al biennio Sessantotto/Sessantanove, un biennio difficoltoso per l’intera nazione, per via delle tensioni sociali sfociate nel cominciamento della cosiddetta strategia della tensione. Aldilà dei fraintendimenti con cui venne salutato al suo apparire La buona novella è da assumersi come vera e propria metonimia del Sessantotto. Come il disco che, dentro metafora, ne trasferisce gli intenti alla canzone d’autore.

Cito testualmente dal tuo libro: "Fabrizio de André è un po' come Dio. Su di lui si può dire tutto e il contrario di tutto". Vuoi spiegarci meglio cosa significa...
Aldilà del parallelismo provocatorio, credo che Fabrizio De Andrè sia stato un uomo controverso, difficilmente inquadrabile in senso univoco. E’ stato anarchico malgrado l’estrazione borghese; è stato capace di poesia e a suo modo di crudeltà; ateo seppure amico dei preti e convinto ammiratore di Gesù; empatico con i derelitti dei carruggi e spesso inavvicinabile dal pubblico che, soprattutto agli inizi, temeva al punto da rifiutarsi di suonare dal vivo. Aldilà della beatificazione acritica che spesso se ne dà, Fabrizio De Andrè era un uomo che sfuggiva alla messa  a fuoco: sempre un po’ più in là da dove ti aspettavi di trovarlo. Come sarebbe Dio per i comuni mortali, semmai esistesse.




Ti eri ripromesso di non scrivere nessun libro che parlasse di De André. Invece hai rotto la promessa fatta a te stesso. Come mai?
Una mattina di qualche mese fa, ho letto un articolo che annunciava il mezzo secolo  della Buona novella (saranno cinquant’anni a novembre). L’occasione era troppo ghiotta per non derogare dal mio proponimento senza rimorsi: l’album è infatti tra i più  politici che De Andrè abbia mai scritto. Talmente impregnato di istanze anti-sistema da potersi assumere come antefatto di Storia di un impiegato (1973), il suo disco anti-sistema per antonomasia. La dissomiglianza di interpreti e contesti fra i due lavori è infatti solo apparente: ne La buona novella la rivoluzione mancata, e a posteriori strumentalizzata, di Gesù; in Storia di un impiegato il tentativo di rivolta del Bombarolo, sfruttato a sua volta dal Sistema. Lontano  come sono dalle fedi confessionali, ho curato questo assemblaggio di discorsi sulla Buona novella, nella convinzione, che era anche di De Andrè, che all’uomo-Gesù, fra i tanti, vada assegnato il merito di essere stato il primo, autentico, sovversivo della storia. 

Infatti, nel tuo libro lo sottolinei più volte: a Gesù va attribuito il primato di primo “sovvertitore della storia”. Ci spieghi meglio il perché di questa tua affermazione?
Il Gesù profeta della rivoluzione di La buona novella è un uomo che poco o niente ha a che vedere con l’assoluto e i suoi ministri, in quanto poco o niente ha a che vedere col cielo e l’onnipotenza. Il Gesù di Fabrizio De Andrè (che nel disco rimane peraltro figura di sfondo) possiede una fisionomia umana molto netta, poco eterea, riflesso fedele del dolore degli uomini. E’ un Gesù la cui parola - accogliente, non giudicante, egalitaria - risulta interpretabile senza mediazioni. Gesù non assolve e non condanna, in quanto, da libertario, non crede nella colpa, se non nella colpa sociale del potere che costringe il popolo all’infelicità. Con La buona novella a De Andrè non interessa incidere un disco agiografico su Gesù. Non interessa celebrarne la venuta al mondo in quanto incarnazione di Dio in terra. Ciò che una volta di più andrebbe rimarcato, è come a De Andrè interessi piuttosto comprovarne la straordinarietà rispetto a un tempo ottuso. Interessi dimostrare come Gesù abbia speso i suoi trent’anni in maniera contro-tendente, insegnando al mondo, più che la remissione dei peccati che non esistono, il sentimento della compassione, nel senso autentico cui l’etimologia del termine rimanda. Come De Andrè non credo che Cristo fosse davvero ciò che diceva di essere, cioè il figlio di Dio. Resta pur sempre un uomo capace di coraggio e capace di opposizione. Gesù non muore perché si compia una missione divina. Gesù muore in croce, tradito dai sacerdoti, in quanto profondo sovvertitore di uno status quo.

Intervista a cura di Rosa Spampanato