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Pietà per l’esistente. Satire e poesie censurabili di Paolo Pera. L'intervista


Paolo Pera è recentemente uscito in libreria per Ensemble Edizioni con Pietà per l’esistente. Satire e poesie censurabili, una variegata raccolta di testi critici (sferzanti, seppur ironicamente) verso la contemporaneità̀ politica, religiosa, estetica e umana.  L’io poetante è qui l’osservatore di un Occidente che ha smarrito gli argini logici, come pure il senso del bello. Tra invettive e pasquinate, il poeta si scopre sì capace di un’innata avversione per l’altrui «bruttezza desiderata» ma anche compassionevole nei confronti del dolore che instaura questa bruttezza, ossia quel perdimento che fa decadere l’uomo nella caotica boria relativista.

Questo è quello che ci ha raccontato a riguardo.

Ciao Paolo, benvenuto. Grazie per la tua disponibilità e per aver accettato il nostro invito. Chi è Paolo Pera e come nasce la passione per la scrittura?
Grazie a voi, siete stati molto cari a invitarmi (: [ ; ] :) [ . ] … Chi è Paolo Pera? Non so se lo sa, non so se lo so… Forse occorrerebbe chiederlo a lui (risatone in super-mega-sala). Bando agli scherzi! Anzi: (!!!). Paolo Pera è un giovine studente di Filosofia, quasi dottore invero (intrecciate i “diti” per me, grazie), ma fa anche cosa meno noiose; benché la vita sia noiosa in sé e per sé, ma solo questa abbiamo! (?) Com’è nata la passssshione? Boh, forse (ma non ne sono sicuro) lo dicevo già altrove… Venne da ragazzino scrivendo e disegnando orridi fumetti demenzial-pornografici, poi nacque un librino dove denunciavo quella che allora credevo essere un’ingiustizia (una doppia bocciatura al Liceo artistico di Alba [CN]), dopodiché i fumetti divennero due romanzi comici (mal scritti, però: come Dislessia pretende). ‘Sto Fumetto, ah: da The family Door divenne La famiglia Porta e infine, in romanzo, Il polveroso ritratto della famiglia Porta Coeli… Il secondo volume della saga si intitolava Nulla sotto la corona, si ragionava anche molto di tematiche monarchiche… di qui allora ero convinto e tenace assertore oltreché ragionatore, oggi è “fornuta” la passione (passione, appunto! Passione…) per ciò. Tornarono i fumetti verso la 3° prima superiore che frequentai, ma si arenarono verso la terza liceo (a 19 anni…) per poi riprendere in quarta anche perché venni spinto da un carissimo amico fraterno, l’oramai già celebre fotografo Alberto Selvestrel. I fumetti si incagliarono nuovamente verso la fine del 2017 quando cominciai a scrivere versi un po’ troppo sparati e con pretese sperimentali, pochi mesi dopo mi votai interamente all’arte figurativa, anche in vista della maturità (detta pure “matura”). Dipingevo oli su oli, sempre autoritratti di Paolo Pera immerso in iconografie iconiche della storia dell’arte. La teoria non ve la dico, troppo lunga e in due frangenti (v’è comunque di mezzo una critica all’impotenza dei tempi d’oggi e, dall’altra, la frammentazione dell’io: l’incapacità dell’io di riconoscersi nel proprio involucro di carne in via di putrefazione). Perché feci questo? Bella domanda, grazie. Avevo una professoressa nepotista a me decisamente invisa che mi considerava un incapace, un senza speranza, giacché rifiutavo di usare i colori e insistevo a consegnarle progetti svolti a china. Siccome i suoi bei pupilli (mediocri non poco a mio vedere) faticavano nell’uso degli oli, oggi invece mi batterebbero avendo fatto l’Accademia al mio contrario, decisi di dare una lezione d’umiltà a questa e a questi (per i quali ero un “incomprensibile”, visti i miei fumetti concettuali sino all’astrusità; e ridicoli a un tempo). Feci in media uno o due quadri a settimana sviluppando in breve uno stile personale, la mia amatissima prof.ssa Maresa Barolo (prof al femminile fa proffa?) mi chiamò: «Falso-naïf». Avendo umiliato l’insegnante nepotista (campionessa di birra il sabato sera con gli “eletti”; tipo Horace Lumacorno di Harry Potter), dimostrandole dunque che ero più capace di tutti i suoi adorati ed anco che l’arte figurativa oramai non mi interessava più – avendo già allora deciso che avrei fatto Filosofia e che la scelta reiterata del Liceo artistico fu sbagliata, che mi fosse più utile il Classico… Cosa poi confermata dalle prime incapacità tecniche rincontrate in UniTo), essa – pur facendo finta d’apprezzarmi sotto sotto e ricevendo quindi in cambio la mia indifferenza – fu costretta a diplomarmi con il massimo dei voti, almeno nella sua disciplina; per altri motivi, però!, non raggiunsi il 100… ma con semplice 96, come tra l’altro profetizzai in un sogno (so’ macho, so’ macho… Non “macio”, macho, come direbbe Abatantuono). Continuai l’opera figurativa e scritta per tutta l’estate post-liceo, dopo alcune complicazioni di salute e di depressione ridussi molto l’opera figurativa dall’inizio 2019 in poi – in concomitanza coi primi mesi universitari, che invero mi scioccarono alquanto, in specie il primo esame (condotto scientificamente, là dove al liceo il metodo era, diciamo, “postmoderno”) –. Il marzo del 2019 segnò la conoscenza del poeta-mazzuolatore Mario Marchisio che volle essermi maestro a tutti i costi vedendo in me del buono da raffinare, uno spirito dionisiaco che meritava d’avere gli strumenti per divenire ordinato, apollineo. Fu, quello sotto di lui, un apprendistato duro e sofferto, ma che infine ha dato buoni frutti; ora solo chi fosse in malafede direbbe: «Pera scrive male», al massimo potrebbero dire: «È un deficiente, un poeta debole, una persona confusa, o chessannoloro» ma non certo che scrive male… Ed aver imparato a scrivere come Dio comanda, per me, – dislessico che nulla capiva, che nulla ben-ragionava, che scarabocchiava sul foglio e che non sapeva tenere una penna in mano –, è il miglior risultato… Come pure aver finora sempre trovato la mia (o le mie) via espressiva nelle arti che di volta in volta decido di praticare, questo sì: in ogni arte da me approcciata, in modo originale e unico, riporto risultati notabili per inventiva formale… che lo siano pure contenutisticamente non lo pretendo, sebbene in parte lo sono. Forse stavolta mi sono spiegato come dovevo già fare in passato, chissà se è vero. (Date conferma, per favore. Ma anche no, se preferite).

Recentemente hai pubblicato Pietà per l’esistente. Satire e poesie censurabili con la casa editrice Ensemble. Come nasce questa raccolta di poesie, qual è il messaggio che vuoi che arrivi al lettore e quali gli stimoli che ti hanno portato a scrivere quest’opera?
Messaggio? Uhm… A volte mi chiedo che messaggi abbiano da trasmettere i poeti che fanno raccolte non organizzate filosoficamente, questa mia altresì ha una struttura (chiaramente poco visibile a chi non ha compiuto i miei stessi studi estetici ed etico-politici, vero) da decodificare – cosa che io pure cerco di fare nell’opera altrui, talvolta non riuscendo, vistane la mancanza –. Non è, infine, che voglia lasciare un messaggio. I messaggi non si lasciano, se non al cellulare, bensì si spalmano per tutta l’opera… Banalmente (come si conviene, e come il mondo chiede) potrei dire che – riducendo tutto all’artista che crea l’opera, in questo caso io; dicendo addirittura nel saggio di filosofia dell’arte che ho scritto come tesina di maturità (non so se mi spiego…) che ogni opere è sempre l’autoritratto dell’artista – l’intento ultimo era quello di delineare i miei moti interiori di fronte a certa “bruttezza desiderata” odierna. Taluni credono, poveri fessi, che “pietà per l’esistente” intenda il mero senso di compassione per l’Altro, no no, cari miei, per lo più vuol dire: l’Esistente (uomo o mondo che sia) mi fa pietà… Ciò si esprime nelle satire moraleggianti, che per certi sono troppo oltranziste, reazionarie. V’è un fare pietà dell’Esistente che poggia sulla compassione per chi esiste, mi spiego meglio: si ha compassione per ciò che esiste perché morirà, perché sta in quel Tempo che lo conduce placidamente verso la cancellazione, il Nulla (noi siamo dunque nulla nell’Essere perché l’Essere, ossia il Tempo, ci porta al Nulla: siamo Nulla in potenza). L’uomo sa di dover morire e finge di “non doverlo fare”, che non debba davvero succedere, difatti si introna nelle peggio maniere pur di dimenticarselo, in questo modo si permette di non fare i conti col suo essere-per-la-morte, mai davvero valorizzando la sua vita temporale… Poveri loro! Digià che essi si fingono, magari religiosamente, nell’idea di Eternità o di eternità dell’attimo (Kierkegaard?), si concedono pure un imbruttimento del loro sé corporeo, si sfregiano!, (“moda degli sfregi” la chiamo io). «Perché non dovrei deturparmi? Ciò che sono rimarrà, quanto “adornerà” il mio corpo aggiungerà perfezione al mio essere nell’attimo…», ecco: l’uomo si imbruttisce poiché non si confronta con ciò che fa davvero compassione, la morte, (ciò fa avere pietà compassionevole), finendo dunque per farmi pietà. Anche qui, stavolta mi sono spiegato (ihihih). Questa cosa viene poi portata sul meta-corpo dell’Uomo, ossia la società, dove la perdita del senso “oggettivo” (ossia armonico) di bellezza porta a fenomeni ridicoli se non aberranti. Ma famo festa comunque, lo dicono “progresso” … Ai posteri l’ardua sentenza?

C’è una poesia della raccolta a cui ti senti maggiormente affezionato?
Sì, direi che Riappropriarsi del nulla dica molto – fin troppo – di me: «Hai ragione, nella mia contraddizione / Il Nulla è una certezza; / Eppure abito il dubbio… / / Scetticamente non so niente, / E voglio ignorare / Quel Dio che negherei / Se me ne interrogassi. / / Oscillo, come un ciondolo perenne, / Tra ciò che ignoro e quanto temo. / Quest’ultimo mi pare molto vero… / / M’accorgessi almeno / D’avere scelto già / Contro ogni pia illusione! / / M’arrabatto invece a pensare / L’Essere quale stabilità, / Anziché quel divenire / Che mi dilania e decompone». Mario Marchisio in una recente recensione (recente recensione, bisticciano le parole?) l’ha denominata “Il pendolo di Pera”, schopenhauerianamente… (Ve la linko: pannunziomagazine.it/il-rovello-del-comprendere-di-mario-marchisio/) inquadrandola in termini di oscillazione tra materialismo e spiritualità, altresì Franco Trinchero (poeta e critico) ne ha parlato come del mio rapporto con la temporalità (che segna la pietà compassionevole per l’Esistente), oltreché di quel mio essere sempre in una lotta dialettica tra una cosa e il suo opposto, tra il voler fare e l’essere trattenuto da impedimenti in me racchiusi. V’è pure una volontà di Dio e la sua negazione, cosa che ha molto urtato un bigottissimo critico famoso, una volontà di sapere demoralizzata dalla consapevolezza dell’impossibilità di questo. Eccetera eccetera eccetera. La mia amata Nonna Maria, ora “in cielo” lo diceva sempre: «Quante volte lo dici? Eccetera eccetera…».

I tuoi prossimi progetti?
I miei progetti sono tanti, tra tutti la laurea e raggiungere un maggior impegno nello studio (per la magistrale) visto l’ormai raggiunto bello stilo in scrittura. Rimane il fatto che talvolta, si veda l’oscillamento di cui sopra, sovviene un poco di sconforto… Spesso successivo al forte orrore per quell’Esistente penoso (che fa pietà), che non dovrebbe esistere ma c’è. «L’Esistente non esiste», disse il mio caro amico Pierangelo Cardia dopo aver letto il libro (per lui prometeico), è fa pietà proprio perché non esiste, perché non impara ad esistere come gli converrebbe, non esiste perché rimane orribile da abitare, orribile da guardare; ed io come posso avere dei progetti da completare, da divulgare, in questo? Non posso esistere io solo, non posso essere bello io solo (o sì?), molto più semplice è sentenziare la mia inesistenza, la mia bruttezza: tutta assimilata dall’Esistente. Pietà per Paolo Pera, l’(in)esistente, disse di me un hater. A Dio.