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Smalto: un disco che torna alla radice


Radice di leggerezza, di importanza, cos’è davvero che conta e cosa davvero può considerarsi superfluo. Che poi, leggiamo noi, il superfluo è spesso quello che ci ostina e ci inchioda, che ci rende schiavi e che ci restituisce effimera gioia. Ed è questo l’esempio che arriva dai protagonisti e dalle liriche del primo disco degli Smalto, duo formato da Matteo Portelli e Francesco Petrosino che vedeva anche un Mr. Milk nella prima fase di costruzione del tutto. Si intitola “Niente di serio”, disco di un velato senso underground, borderline nelle intenzioni, in bilico tra indie e quel gusto glamour per i suoni digitali electro-pop anni ’90, ormai cifra stilistica di molti. Un disco da scoprire da vicino anche grazie a questa bella intervista che segue…

Dai Mamavegas agli Smalto. Il passaggio è stato d’obbligo, voluto o casuale?
Un po’ un mix, a dire il vero! D’obbligo perché noi due, dopo dieci anni di collaborazione all’interno dei mamavegas non eravamo proprio in grado di non fare più musica insieme, ne avevamo bisogno, Smalto è stato il nostro modo per rendere meno traumatica la fine di quell’esperienza così importante per noi. È stato quindi soprattutto necessario. Una band per un musicista è come una famiglia, specie quando è una band con una storia lunga, e vissuta con l’intensità emotiva con cui l’abbiamo vissuta. 
E poi, una volta capita la necessità Smalto l’abbiamo voluto, l’abbiamo costruito, abbiamo cercato di costruire un immaginario, dei temi di cui parlare, il tipo di sonorità e di vocalità che volevamo utilizzare. Quindi forse di casuale c’è stato poco, anche perché nelle condizioni pratiche in cui eravamo, e siamo, cioè quelle di un lavoro a distanza tra Roma e Battipaglia, serviva un forte impegno per portare avanti il progetto.

E di Mr. Milk che ci dite? Come mai si è “perduto" lungo il cammino?
Semplicemente perché ha deciso di andare a vivere a Parigi. È un tatuatore, e un artista grafico, e ha deciso di andare a cercare fortuna là; ora ha trovato il suo spazio in un atelier, e sta portando avanti il suo talento da questo punto di vista. E’ un peccato perché ci ha dato tanto, soprattutto in fase di impostazione e costruzione di Smalto, ma pensiamo sia una scelta che gli farà bene!

E com’era nato il progetto assieme a lui? Aveva gli stessi suoni o girava dentro mood decisamente più folk?
No no, il sound era questo, come dicevamo l’abbiamo costruito insieme nella prima fase, e lui ha partecipato alla scrittura e alla produzione di quasi tutte le canzoni nel nostro primo anno di vita, che è poi quello in cui abbiamo fatto il grosso del lavoro. Poi quando è andato via noi abbiamo portato avanti, finalizzato, rifinito, qualcosa l’abbiamo rifatta, ma la strada era già segnata. Poi Smalto l’abbiamo anche immaginato un po’ aperto, più progetto che band, il fatto che in alcuni brani canti più lui, e in altri non ci sia non ci crea nessun problema. Allo stesso modo nelle prossime cose di Smalto ci saranno altre persone, altre voci, altre idee. Ci piacerebbe mantenere come elemento identitario quello di un cantato polifonico, oltre che quello del nostro modo di vedere il mondo, e i suoni che usiamo per descriverlo.

Ci sembra che il punto chiave del disco sia la leggerezza e sia anche quel bisogno di tornare a dare valore alle cose importanti… stiamo vivendo sommersi di stupidaggini secondo voi?
Per noi il punto chiave è sì la leggerezza, ma la leggerezza nel trattare le cose importanti; e le cose importanti di cui abbiamo voluto parlare sono quelle che riguardano la sfera del personale, delle relazioni, delle nostre preoccupazioni. Abbiamo cercato di giocare e scherzare sulle nostre ansie, sulle nostre paure, per cercare un modo di affrontarle e capirle, chissà che non possa servire anche a chi ci ascolta… È stata, come diciamo spesso, una terapia, un percorso che ci ha fatto bene, soprattutto in questi due anni così difficili. 
Sicuramente siamo sommersi di stupidaggini, o piuttosto di superficialità, anche nel modo di trattare i temi non certo stupidi che stiamo affrontando in questi anni; riuscire a ragionare in modo leggero di cose grosse forse ci dà modo di leggere la complessità dei problemi, senza avere la pretesa di sapere sempre come stanno le cose, di sapere quali sono le soluzioni. Abbiamo bisogno di complessità, di analisi, di profondità, e di capire che leggerezza non significa superficialità..

Che poi anche il titolo del disco è emblematico. “Niente di serio”… cosa merita invece serietà e attenzione?
Da una parte meritiamo attenzione noi, noi persone, nelle nostre relazioni, nel valutare il nostro ruolo nella società, i nostri diritti, i nostri doveri. Questo è quello di cui parliamo in “noi non veniamo”, in cui cerchiamo di ipotizzare una “strategia difensiva” rispetto alla frenesia e, appunto, superficialità di una società in cui non ci vogliamo riconoscere. Ci vuole serietà e attenzione per cercare di chiamarsi fuori ogni tanto, per rimettere al centro quello che veramente ha importanza e fa bene. Si tratta di rimettere al centro le persone, ma anche di ritrovare il senso dell’essere una persona, riappropriarsi della propria identità, dei propri dubbi, delle proprie ansie, dedicare attenzione a quello che siamo davvero, smettere di rincorrere dei ritmi e dei modelli assolutamente irrealistici.
E poi, parlando più strettamente di noi, merita serietà e attenzione il nostro desiderio di lavorare e giocare con la musica! Per noi è un’esigenza oltre che un modo per comunicare, e abbiamo voluto farlo con lentezza, con grande cura, prendendoci tempo, pensando che lo stavamo facendo per noi, perché ci faceva bene, perché ne avevamo bisogno. Se non avessimo messo serietà, qui anche in senso di professionalità, in quello che stavamo facendo ci saremmo divertiti moooolto meno! E invece scrivere, registrare e produrre queste canzoni è stato un grande divertimento, una grande possibilità di evasione; ed è stata anche una grande fortuna avere durante questa pandemia queste canzoni a cui badare.

La musica oggi sembra essere "niente di serio"… purtroppo… tornerà ad avere un posto d’onore nelle priorità sociali della nostra vita?
Questo è un grande tema. Sicuramente ce ne sarebbe bisogno; ci sarebbe bisogno che la musica ricevesse la considerazione che una forma d’arte e di cultura merita, per la sua importanza nella crescita e nella formazione delle persone, per la sua importanza come elemento di socialità e di aggregazione. Di certo i tempi sono difficili, e in tempi difficili purtroppo la cultura finisce sempre per essere soffocata, proprio quando dovrebbe invece essere presa ancora più in considerazione. 
Vero è anche che la musica (ma forse dovremmo dire più che altro la musica leggera, il pop magari) si è chiamata fuori dal suo legame col sociale. C’è stato un ripiegamento sull’individualità negli ultimi anni, forse decenni, sia nei temi di cui si parla sia nelle forme dei progetti artistici, sempre più singoli sempre meno band, sempre meno collettività, sempre più individualismo; e questo ripiegamento inevitabilmente rischia di relegare a intrattenimento, a “niente di serio”.
Forse c’è un po’ di paura a prendere posizioni, a parlare di cose più grandi, a “impegnarsi”; non va di moda, non fa aumentare le visualizzazioni e gli ascolti, non fa finire nelle playlist; difficile dire il perché, ma di certo l’orizzonte della canzone pop si è enormemente ristretto. Sarebbe bene pensarci, e magari cercare di trovare modi nuovi per far tornare qualche forma di impegno maggiore, ricostruendo dei legami tra cultura e politica, e azione sociale. Anche noi, comunque, abbiamo vissuto questo processo, anche noi parliamo di relazioni, di amore, di persone, di individui, cerchiamo di metterci degli elementi più larghi, ma comunque questo discorso riguarda anche noi eh, non ce ne chiamiamo certo fuori! Ma ci penseremo; è importante, perché i tempi cambiano, e ogni forma di cultura deve avere la capacità di capire e vivere i cambiamenti, adattandosi o contrastandoli. Forse dovremmo avere un po’ più di forza e contrastare.