Matoh, con il suo nuovo singolo “Ho capito”, ci regala un brano potente, diretto e tagliente, che esplora il disagio di chi si sente fuori posto. Un pezzo che si fa portavoce di una generazione in cerca di verità, senza paura di affrontare le proprie fragilità. La canzone è un viaggio di consapevolezza, un grido di ribellione contro le imposizioni sociali e il peso di dover sempre rispondere alle aspettative altrui.
Nel corso dell’intervista per Cherry Press, Matoh riflette su temi come l’identità e il giudizio, invitando i più giovani a perdersi per ritrovarsi, ad abbracciare la libertà di non sentirsi sempre capiti, ma soprattutto a vivere il presente con intensità. Con una visione schietta e senza filtri, l’artista ci spiega come il non sentirsi al proprio posto non sia una condanna, ma piuttosto un'opportunità per crescere e cercare quel posto che, forse, non è mai stato scritto.
"Ho capito" non è solo una canzone, ma un manifesto di consapevolezza, un invito a non fermarsi mai, a non accontentarsi. Un brano che celebra la vita come una maratona, dove l'importante non è arrivare per primi, ma arrivare.
“Ho capito” sembra parlare a chi si sente fuori posto: ti rivolgi a una generazione specifica?
“Purtroppo (o per fortuna) non esiste una generazione che non si sia mai messa in discussione. Le pressioni che ci sentiamo addosso non vedono età, sesso o estrazione sociale. E questo, a mio avviso, è anche un bene: capire di non sentirsi al proprio posto non fa altro che spingerci a cercarlo quel posto. La vita non va osservata, ma va corsa, come una maratona. E come in una maratona, non serve arrivare primo, l'importante è arrivare.”
Pensi che la tua generazione abbia più voglia di ribellarsi o di adattarsi?
“Probabilmente non ha tanta più voglia rispetto alle generazioni passate, ma senz'altro ne ha più bisogno, e soprattutto ha molti più modi per farlo. Basti pensare alla possibilità di sbloccare uno smartphone e far sapere al mondo intero cosa pensiamo, o semplicemente aggiornarsi sul mondo e su quello che ci circonda.”
C’è qualcosa che senti di voler dire a chi oggi ha vent’anni e si sente perso?
“Perditi. Va bene così. Poi cercati, in te stesso, negli altri, nella musica, negli animali, nel mondo. E poi perditi ancora. Datti sempre la possibilità di perderti, così da trovare sempre la voglia di ritrovarti. La vita è una partita a nascondino, è un gioco per bambini, e non è importante vincere, o sapersi nascondere bene, il bello è giocare. E quindi tu gioca.”
Quanto pesa, secondo te, il giudizio degli altri nella nostra epoca?
“Senz'altro moltissimo, ma mai quanto il giudizio su noi stessi che noi proiettiamo negli altri. Molto spesso ciò che ci fa male è solo quello che noi ci aspettiamo che le persone si aspettino da noi e questo, secondo me, fa doppiamente male.”
“Non essere capito” può diventare una forma di libertà?
“Il non sentirsi capiti è già una forma di libertà, perchè la voglia di essere compresi da chi ci sta intorno ci spinge a cambiare, ad essere ciò che vogliamo, a lavorare su noi stessi e a trovare il giusto spazio nel mondo. E se non è questa la libertà, allora cos'è?”